Luca Gabutti, neo direttore dell’Istituto di medicina di famiglia, ci spiega perché questa professione ha perso negli anni il suo fascino.
LUGANO - Essenziale eppure spesso snobbata dai giovani neodiplomati. La figura del medico di famiglia ha subito negli anni una regressione importante in quanto a interesse e fascino. L’apporto del medico di famiglia nel sistema sanitario ticinese, come quello svizzero, è però innegabile. Un dato testimoniato dal nuovo Istituto di medicina di famiglia presentato ieri all’Ospedale Italiano di Lugano. Un progetto strategico nato dalla collaborazione tra EOC, Ordine dei Medici Cantonale Ticino (OMCT) e USI, che mira a rafforzare la figura centrale del medico di famiglia tra formazione, ricerca e pratica clinica. Abbiamo cercato di fare chiarezza con il futuro direttore dell’Istituto, Luca Gabutti, professore ordinario presso la Facoltà di scienze biomediche dell’USI.
Come si convince un neolaureato a intraprendere questo percorso?
«Il progetto è proprio orientato a questo: affascinare i medici che avviano il proprio percorso di formazione, motivandoli verso la medicina di famiglia. Come? Da un lato, il fatto stesso di ottenere un certificato universitario che vorrebbe essere un primo incastro per smuovere il riconoscimento supplementare di medicina di famiglia come un surplus. Dall’altro offriamo un diploma che richiede la redazione di un lavoro di master che può essere usato per ottenere il titolo di specialista in medicina interna generale. Aiutiamo medici assistenti a ottenere il titolo di specialità».
Con una popolazione che invecchia sempre di più, perché la figura del medico di famiglia è sempre più importante?
«L’idea è che con l’invecchiamento cresce anche la complessità. È "facile" occuparsi di un giovane con un solo problema. Quando invece i problemi si sommano diventa più difficile. Per qualcuno che invecchia, che perde la sua autonomia, bisogna avere tante altre competenze per gestire il tutto e per dare una risposta adeguata anche per i singoli problemi. Da lì l’idea che immettere sul territorio dei colleghi che hanno avuto un'istruzione particolare contribuisce a dare una risposta mirata al bisogno della popolazione anche in quella fascia d’età».
Nel suo intervento ha spiegato che la medicina di famiglia ha perso la sua luminosità. Come mai e cosa è cambiato?
«Le specializzazioni hanno preso sempre più spazio. Se qualcuno ha dei problemi di salute, automaticamente si rivolge allo specialista. Spesso non passa neppure nello step intermedio del medico di famiglia. In realtà non si tratta soltanto di dire al cittadino adesso ti impongo un modello medico. La nostra proposta è differente, vogliamo aumentare le competenze e i contenuti del medico di famiglia in modo che diventi spontaneo al cittadino rivolgersi a questa figura».
In Ticino questo istituto copre un luogo, nel panorama svizzero invece come si situa?
«I cantoni che hanno un ospedale universitario oppure un master in medicina, hanno un istituto di medicina di famiglia. Avevamo due opzioni sul tavolo. La cosa più semplice era creare un centro e occuparsi solo di amministrazione e gestione. Abbiamo voluto dare qualcosa di diverso mettendo dei contenuti che non erano presenti sul territorio. In Europa per esempio, un master di medicina di famiglia esiste solo in una facoltà di medicina. Abbiamo voluto dare dei contenuti diversi mettendo come obiettivo di ridare contenuti alla medicina di famiglia».