Ci dicono cosa e quanto mangiare. Per gli esperti non sono da demonizzare in toto, ma attenzione a prenderle alla lettera.
LUGANO - Come emerso da un recente sondaggio, alcuni dispositivi elettronici come gli smartwatch, pur monitorando il sonno, non sempre aiutano a dormire, anzi.
Oltre ai wearable, che scandagliano ogni aspetto del nostro quotidiano, negli ultimi anni è un fiorire di applicazioni utili a indirizzarci su molti aspetti della vita, suggerendoci anche cosa e quanto mangiare.
Funziona, ma non per molto - Sotto il profilo nutrizionale (ma anche psicologico) c'è da fidarsi? «In generale si tratta di regimi alimentari a scadenza, spiega la dietista Maura Nessi. «Li si porta avanti finché si regge, poi si molla il colpo». Per l’esperta, affidarsi a queste app non permette un'analisi dettagliata del proprio quotidiano. «Non vengono modificate quelle abitudini di base, sbagliate, che ci trasciniamo da anni e che hanno portato ad essere fuori forma». E nelle quali si ricade, inevitabilmente, quando l’entusiasmo per la nuova dieta si spegne.
«Inserendo un paio di parametri e l’obiettivo, queste app producono una “ricetta” che è poi un po’ la stessa per tutti e che non tiene conto dell’individualità. Qui c’è la principale differenza con l’essere seguiti da una persona del mestiere». Nessi fa un esempio pratico: «Prendiamo una persona che tutti i giorni pranza seduta alla scrivania. Magari questa app le propongono il branzino con le verdure. È chiaro che non è fattibile… va studiato qualcosa di adeguato e sostenibile a lungo termine».
Ansia e dipendenza - Attenzione poi alle possibili ripercussioni sulla salute. «Se c’è già un problema di fondo, questi strumenti non ne tengono conto».
Nessi ne ha anche per i dispositivi indossabili che monitorano tutto: «Questa mania del controllo mette ansia. Io stessa non so quante calorie brucio nel dettaglio o quante ore di sonno profondo ho fatto questa notte».
Non sappiamo più cosa vogliamo - Per l’esperta, in alcuni casi, si può parlare persino di dipendenza. «Ho pazienti così presi da app e social da non sapere più nemmeno cosa vogliono realmente. Non siamo più nemmeno capaci di mangiare ascoltandosi. Oggi si parla di “mindful eating”, mangiare consapevolmente. Ho fame? Sono sazio? Di cosa ho voglia oggi? Dobbiamo reimparare a rispondere a queste domande. Siamo arrivati al punto di non riuscire a goderci un aperitivo con gli amici perché quella sera l’app dice che abbiamo superato le calorie. Uno spritz non esclude il poter mangiare sano e stare in forma».
All’estremo si sfocia nella malattia. «Su persone predisposte a disturbi alimentari, tutto questo può contribuire a sfociare in comportamenti patologici».
Verificare la fonte - Meno tranchant è la collega Eveline Battaglia. «Chi usa questi strumenti deve capire che sono imperfetti, possono sbagliare». Il suo suggerimento: «Mi è già capitato di vedere applicazioni che forniscono errati conteggi calorici. La prima cosa da fare è verificare la fonte, capire chi c’è dietro queste app. Se sono strutturate o se sono create solo per spillare soldi».
Perché, a suo modo di vedere, una mano la possono dare. «Se una persona, accompagnata da un professionista o sotto consiglio del suo medico, cerca di migliorare il proprio stile di vita e le proprie abitudini alimentari utilizzando anche un’app o dei tracker, non c’è nulla di male. Vi sono strumenti molto validi». Senza eccedere: «In molti casi non c’è alcun bisogno di essere monitorati h24».
Per Battaglia, insomma, un aiuto può restituire maggior consapevolezza: «Visto che in generale le abitudini di vita non stanno migliorando, questi strumenti hanno un grande potenziale, quello di sensibilizzare a uno stile di vita più sano».
Attenzione però al fai da te: «Un rischio che si corre con questi atout tecnologici è quello di generare dipendenza. Così come bisogna fare attenzione a determinati disturbi come l’ortoressia, l'attenzione malsana perso il cibo puro e sano». Una tendenza, quest’ultima, sempre più in voga tra gli adulti più giovani: «Si riscontra in effetti un certo fanatismo della forma fisica. Però questo trend ha prodotto anche degli effetti positivi, non lo demonizzerei in toto. C’è più coscienza in questo ambito ed è un bene».
Meno bene, invece, laddove questa “dipendenza” va a colpire chi già tende a determinati disturbi alimentari. «Ma qui il problema più grande è rappresentato dai social, che non sono controllati. Le persone con dipendenze da cibo, così come quelle che non mangiano, o che fanno eccessivamente sport, si infilano in questi gruppi, anche abbastanza chiusi, nei quali i comportamenti patologici vengono persino incitati. Questo è estremamente dannoso e costoso per la persona e, di riflesso, per la salute pubblica».