La pena proposta dall'accusa comporterebbe anche l'espulsione dalla Svizzera. La difesa spinge invece per un anno e mezzo di detenzione.
LUGANO - «Era consapevole di poter uccidere e determinato a farlo». È quanto sostiene la procuratrice pubblica Anna Fumagalli riferendosi al 20enne algerino alla sbarra per l'accoltellamento avvenuto lo scorso luglio fuori dalla discoteca Blu Martini di Lugano.
L'accusa chiede dunque che venga confermata l'ipotesi di reato di duplice tentato omicidio intenzionale e che il giovane venga condannato a otto anni e mezzo di carcere, tutti da scontare, più l'espulsione obbligatoria dalla Svizzera per cinque anni.
Nel caso in cui il ragazzo venga ritenuto colpevole di tentate lesioni gravi, Fumagalli propone invece cinque anni e mezzo di detenzione, scendendo a cinque anni, eventualmente, per lesioni semplici qualificate. Al contrario, la difesa chiede un anno e sei mesi di detenzione e riconosce unicamente le lesioni semplici. La sentenza è attesa per domani alle 17.
«Con il coltello in tasca» - Il 10 luglio scorso «l'imputato è uscito a fare serata, ma invece di portare con sé la voglia di divertirsi si è premurato di mettersi in tasca un coltellino. Sì, perché era pronto a farne uso», sottolinea l'accusa. «Il ragazzo che ha tentato di accoltellare quella sera non è stato ferito mortalmente solo grazie alla sua pronta reazione, che l'ha portato a scartare il fendente. E le immagini della videosorveglianza mostrano chiaramente che ha colpito la 20enne in due diverse occasioni».
Nonostante ciò, evidenzia Fumagalli, «l'imputato si è descritto come una vittima, sostenendo di essersi unicamente difeso da quel gruppo che precedentemente l'aveva pestato. La sua versione dei fatti non ha però trovato alcun riscontro nell'inchiesta».
Una questione di onore - L'accusa illustra poi il movente del folle gesto: «Questo ragazzo è cresciuto nel più evidente disagio sociale e vive alla ricerca insaziabile di farsi rispettare dagli altri. Quella notte ha infatti agito per difendere e vendicare il suo onore, scalfito dal pestaggio subìto poco prima».
Definito poi «desolante» e «costantemente ostile» l'atteggiamento processuale dal giovane. E anche il comportamento tenuto in detenzione, per l'accusa, non lascia ben sperare: «Ha spinto la sua compagna a introdurre delle sostanze stupefacenti in carcere. Questo, completamente noncurante delle conseguenze che questa azione poteva avere per lei».
In seguito all'arresto, rincara la dose l'accusa, «il 20enne ha poi mentito e rifiutato di collaborare, non fornendo il codice per sbloccare il suo telefono e mostrando una totale assenza di pentimento o di assunzione di responsabilità».
«Un ragazzo con un passato difficile» - «L'imputato è un giovane uomo smarrito, e lo è ancora oggi», esordisce dal canto suo l'avvocato difensore Ryan Vannin, che ritiene realizzato unicamente il reato di lesioni semplici e chiede una pena di un anno e sei mesi di detenzione. «Purtroppo ha un passato costellato da innumerevoli problematiche legate al suo contesto familiare e», vista la richiesta d'asilo respinta in via definitiva nel 2012, «non ha mai potuto lavorare». In carcere, sottolinea, «è però considerato come una persona impegnata e con buone prospettive di reinserimento».
Quello subìto dal giovane uomo prima dei fatti è stato, per la difesa, «un pestaggio di gruppo messo in atto per futili ragioni (un palpeggiamento inopportuno ndr.) e decisamente esagerato». Uscito dal locale l'allora 19enne «ha così reagito dicendo agli agenti di sicurezza di andare a cercare i ragazzi che l'avevano picchiato, ma nessuno si è degnato di aiutarlo. C'era dunque molta adrenalina in lui, ma anche rabbia e sofferenza, e i fumi dell'alcol stavano facendo il loro effetto».
Secondo l'avvocato Vannin l'imputato non deve rispondere di alcun reato relativo al confronto avuto con il primo giovane. La lama del coltello non si sarebbe infatti mai avvicinata al ragazzo ed entrambe le parti, nella concitazione, avrebbero ricordi confusi rispetto a distanze e spazi.
Colpita «per difendersi» - Per quanto concerne invece la 20enne ferita, la difesa sostiene che l'imputato sia stato «insultato e provocato verbalmente da lei». «Sapendo che lui aveva con sé un coltello, gli si è avvicinata dicendogli "Sono stata io, ammazzami!"» e lui «ha agito in gesto di difesa, perché la paura porta aggressività».
Le ferite della ragazza «sono poi risultate di poca entità», tiene a sottolineare Vannin, evidenziando inoltre «che l'imputato era in uno stato particolarmente alterato». La difesa riconosce dunque unicamente il reato di lesioni semplici realizzato nei confronti della ragazza.
Giudicata inconsistente, infine, anche l'accusa di soggiorno illegale: «L'imputato non era al corrente del fatto che avrebbe dovuto anche lui, oltre che i suoi genitori, inoltrare richiesta d'asilo, quindi se mai si tratta di negligenza».