«Voleva ucciderlo», così la pubblica accusa, che ritiene il 51enne colpevole di tentato omicidio intenzionale.
LUGANO - «L'imputato sostiene che quanto è successo sia stato un incidente. La pubblica accusa ritiene però che l'uomo ha agito con la precisa volontà di uccidere». È con queste parole che il procuratore pubblico Moreno Capella ha chiesto di condannare a sette anni e mezzo di carcere il 51enne che il 7 agosto 2022 ad Agno sparò a suo figlio con un fucile, ferendolo gravemente.
Proposto, inoltre, un trattamento ambulatoriale di lunga durata e una terapia per la cura delle tossicodipendenze.
La pubblica accusa sostiene però che l'uomo debba essere ritenuto colpevole di tentato omicidio intenzionale, e non di tentato assassinio.
Dall'esame dei fatti, ha esordito Capella, «emerge che quella mattina il 49enne è uscito di casa con il preciso intento di cercare e affrontare il figlio». «Se, dopo averlo scorto per strada ad Agno avesse soltanto voluto incontrarlo, perché l'ha inseguito portando il fucile con sé, e per giunta carico?», ha chiesto poi il procuratore alla Corte. «Il ragazzo, per giunta, in quel momento si trovava da solo, il che cancella l'ipotesi secondo la quale l'uomo avrebbe portato con sé il fucile solo per proteggersi da un possibile scontro con eventuali complici del figlio».
Il fucile puntato, poi i colpi - È stato accertato, inoltre, «che gli spari sono stati due, anche se un solo colpo ha raggiunto il giovane, perché i bossoli trovati sono stati due». Confermato «anche che il fucile è stato puntato verso la vittima e che era stato disassicurato dall'imputato». Il colpo «non può infine essere partito inavvertitamente, perché per premere il grilletto del fucile in questione ci vuole una certa forza, pari a 2,8 chili».
Il tutto, ha sottolineato Capella, è durato 23 secondi, «dopodiché la vittima è riapparsa, correndo, nel campo della videosorveglianza. Il padre ha quindi seguito il figlio in scooter e varie persone sono sopraggiunte in soccorso». Secondo vari testimoni il figlio ha quindi accusato il padre di avergli sparato e lui ha replicato con un "non sono stato io a spararti", per poi lasciare la scena.
«Tentato omicidio, non tentato assassinio» - La pubblica accusa ritiene però che l'agire dell'imputato debba essere qualificato non come tentato assassinio, come proposto dalla procuratrice pubblica Margherita Lanzillo (che ha condotto l'inchiesta ndr.), ma come tentato omicidio intenzionale. Nel primo caso, infatti, «l'autore deve agire senza alcuno scrupolo e in modo particolarmente crudele» e l'assassinio non può essere confermato quando «l'atto omicida appare come una forma di reazione a una situazione di particolare sofferenza».
Una sofferenza che in questa situazione, per il procuratore Capella, era presente: sia legata ai sospetti relativi al furto dei soldi della nonna sia ai comportamenti ribelli e alla tossicodipendenza del figlio. L'imputato, ha concluso Capella, «avrebbe inoltre potuto finire il giovane, uccidendolo, dopo averlo colpito una prima volta».
Per quanto riguarda infine la commisurazione della pena, «il perito psichiatrico ritiene che al momento dei fatti l'uomo era consapevole di quanto stava facendo».