Lo sostiene la difesa durante il processo del 71enne accusato di aver abusato del suo figliastro.
LUGANO - «Nulla, nell'inchiesta, prova che il mio cliente abbia agito per soddisfare un suo desiderio sessuale». È quanto sostiene Nicolo Giovanettina, avvocato difensore del 71enne alla sbarra per aver abusato sessualmente del suo figliastro, un bambino di 12 anni affetto da un grave ritardo mentale.
L'avvocato chiede quindi che l'uomo venga condannato a un anno e mezzo di detenzione sospeso con la condizionale, una pena meno severa rispetto a quella proposta dalla pubblica accusa.
«Agire sbagliato, ma non perverso» - «Lo scopo del mio cliente, per quanto riguarda i toccamenti avvenuti in pubblico, era evitare che la gente vedesse che aveva un'erezione», afferma Giovanettina, aggiungendo che «il suo agire è stato dannoso, ma non perverso. Ha sbagliato tanto, ma non c'era una motivazione sessuale».
La difesa tiene poi a sottolineare che il 71enne «ammette comunque in sostanza i fatti. E quest'ultimi sono stati ammessi fin da subito, dal primo verbale di polizia».
Ma cosa ha spinto quest'uomo a fare quello che ha fatto?, chiede Giovanettina. «A dircelo è stato lo psichiatra che ha seguito il mio cliente dopo il suo arresto, il dottor Traber: "È stato vittima di una dinamica che non riusciva a controllare e nemmeno a capire"». E questo «l'ha portato a dimenticare le problematiche del minore e a sottovalutare la situazione».
«L'escalation non c'è stata» - A dimostrare che dietro questi atti «non vi fosse la ricerca di un piacere o un abuso», per l'avvocato, «è anche il fatto che nel secondo episodio avvenuto in albergo l'imputato ricommette lo stesso errore ma non tocca più il bambino: fa dunque meno rispetto alla prima volta». Secondo la difesa «se davvero dietro quei comportamenti ci fosse stata una sua perversione l'uomo avrebbe fatto ciò che aveva già fatto, ovvero masturbare il bambino, oppure ci sarebbe stata un'escalation».
La volontà dell'imputato, stando a Giovanettina, sarebbe dunque stata «quella di aiutare il bambino» ad affrontare i problemi che aveva nella gestione della sua sessualità. Questo aiuto è però stato dato «in una modalità pessima e terribile» e «in un contesto familiare negativo e di grave disagio».
Nel rapporto tra patrigno e figliastro «c'è stato comunque anche del buono», osserva infine la difesa. «La cosa che rende più triste questa storia è proprio il fatto che il bambino al suo patrigno voleva bene, e lo considera a tutti gli effetti suo papà».
«A parlare è stata lei» - A prendere la parola è poi l'avvocato Maricia Dazzi, che difende l'ex moglie del 71enne e madre del bambino. «Dall'inizio dell'inchiesta la mia cliente è sempre stata lucida e non si è mai contraddetta», esordisce. «Va inoltre ricordato che il tutto è emerso solo perché lei ha riferito quello che aveva saputo a un'operatrice sociale. E da allora ha dimostrato di volersi assumere le sue responsabilità, ammettendo anche che non aveva parlato perché temeva di perdere il suo permesso di domicilio».
L'avvocato sottolinea poi come, prima che la coppia si conoscesse, la madre aveva saputo crescere, da sola, entrambi i figli. «È stata dunque fatale, per lei, l'entrata dell'imputato all'interno della famiglia».
«Raggirata dal marito e dipendente da lui» - Per quanto riguarda invece la mancata segnalazione alle autorità, per Dazzi «la donna è stata raggirata dal marito». Dopo che lei l'aveva affrontato, infatti, «lui le aveva promesso che non l'avrebbe mai più rifatto e si era giustificato, come nell'odierno processo, dicendo che aveva tentato di aiutare il figliastro». La 50enne «era inoltre dipendente dal marito, anche a livello finanziario».
L'avvocato chiede quindi che la donna venga giudicata esente da pena per quanto riguarda il reato di favoreggiamento e che venga prosciolta dai reati di violazione del dovere di assistenza ed educazione e rappresentazione di atti di cruda violenza, «oppure che venga condannata a una pena pecuniaria sospesa».
La sentenza, per entrambi gli imputati, è attesa per domani alle 10.30.