«La speranza è che a questo nostro appello si aggiungano anche altre forze politiche, sociali e associative»
BELLINZONA - La notizia della denuncia penale presentata dai giudici Siro Quadri e Francesca Verda Chiocchetti nei confronti del presidente del Tribunale penale, Mauro Ermani, del vice Marco Villa e di Amos Pagnamenta, per un presunto caso di mobbing subito da una segretaria, continua a suscitare polemiche e dure prese di posizione.
E così ora l'MPS, dopo aver chiesto di attivare l’Alta Vigilanza, va oltre, domandando a gran voce le dimissioni del presidente Ermani sperando che «a questo nostro appello si aggiungano anche altre forze politiche, sociali e associative, in particolare quelle delle donne che lottano contro discriminazioni e sessismo».
Il loro comunicato a sostegno della richiesta ripercorre in parte quanto già spiegato in fase di richiesta di attivazione dell'Alta Vigilanza con la non trascurabile invocazione, appunto, di avere «formali dimissioni visto che il giudice Ermani a nostro avviso non può più rimanere al suo posto»,s crive l'MPS.
Questa la conclusione anticipata da una dettagliata spiegazione. «Nel corso degli ultimi anni, a scadenze regolari, il giudice Mauro Ermani è salito agli onori della cronaca per comportamenti che non possono e non devono aver diritto di cittadinanza, ancor più se commessi da qualcuno che riveste una carica così importante come quella di presidente del Tribunale Penale.È di ieri la notizia che lo scorso 3 febbraio 2023, il giudice Ermani ha inviato a una dipendente amministrativa del Tribunale, di cui egli è presidente, una foto raffigurante una donna seduta accanto a due peni più alti di lei. Il commento a quella foto sono riferimenti chiaramente allusivi ed espliciti. Voci interne alla Magistratura confermano che in passato vi sarebbero stati diversi episodi che hanno visto Ermani protagonista», è il duro esordio.
Comportamenti di questo tipo «sono da ricondurre chiaramente all’articolo 4 della Legge federale sulla parità dei sessi (Divieto di discriminazione in caso di molestia sessuale) che così recita: “Per comportamento discriminante si intende qualsiasi comportamento molesto di natura sessuale o qualsivoglia altro comportamento connesso con il sesso, che leda la dignità della persona sul posto di lavoro, il proferire minacce, promettere vantaggi, imporre obblighi o esercitare pressione di varia natura su un lavoratore per ottenerne favori di tipo sessuale”», si legge.
Tale comportamento riprovevole «e forse anche passibile di sanzioni penali e civili, da parte di una delle massime autorità penali si sovrappone ad una situazione di caos, potenzialmente esplosiva, in seno alla Magistratura. Lasciar passare la vicenda, oppure ridurla ad un atteggiamento di tipo goliardico, appare assolutamente inaccettabile: è il proliferare di questi atteggiamenti che tendono a rendere “accettabile” il sessismo ordinario», si chiude la spiegazione.