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CANTONESuicidi assistiti a Chiasso, ma puntava a far soldi: condannata una 66enne

23.10.24 - 16:35
La donna «ha agito per motivi egoistici», ed è quindi stata giudicata colpevole di istigazione e aiuto al suicidio.
Imago (simbolica)
Suicidi assistiti a Chiasso, ma puntava a far soldi: condannata una 66enne
La donna «ha agito per motivi egoistici», ed è quindi stata giudicata colpevole di istigazione e aiuto al suicidio.

LUGANO - È una condanna storica, che fa giurisprudenza, quella decisa oggi alle Assise correzionali di Lugano. La 66enne ex infermiera che tra il 2016 e il 2017 accompagnò alla morte sette persone, attraverso il suicidio assistito, è infatti stata giudicata colpevole di istigazione e aiuto al suicidio.

Raggiungendo un profitto complessivo di quasi 41'000 franchi in meno di quattro mesi la donna ha infatti lucrato sulla sua attività, ha stabilito la Corte, e pertanto «ha agito per motivi egoistici», il che è contrario alla legge.

Un vuoto legislativo - È stato in particolare ritenuto che i margini di guadagno che la donna aveva toccato con l'accompagnamento alla dolce morte hanno violato l'articolo 151 del codice penale, l'unica base legale, seppur vaga, in materia di suicidio assistito.

Per quanto riguarda la pena il giudice ha reputato adeguata una pena pecuniaria di 6'000 franchi sospesa condizionalmente per due anni, più una multa di 500 franchi.

Profitti sproporzionati - «I fatti sono stati sostanzialmente confermati così come esposti nell'atto d'accusa», ha spiegato il giudice Mauro Ermani. «Va subito detto che in tutti e sette i casi si è trattato di suicidio: l'atto estremo è stato compiuto dalla persona che intendeva mettere fine alla propria vita. Occorre però stabilire se l'imputata, nell'aiuto, ha agito "per motivi egoistici"». La legge, ha sottolineato Ermani, «non dice di più e non dà indicazioni di dettaglio riguardo a cosa si intende esattamente con motivi egoistici. Dall'analisi dottrinale si deduce però che si può trattare di motivazioni legate a soldi o beni materiali o a sentimenti come la vendetta».

Sette suicidi assistiti in meno di quattro mesi - Il giudice ha quindi sottolineato che «l'imputata era precedentemente attiva in Exit e in Liberty Life e in queste associazioni guadagnava solo 500 franchi a suicidio compiuto. Dopo un litigio relativo proprio ai soldi avuto con la sua socia di Liberty Life la donna ha però deciso di mettersi in proprio, applicando gli stessi prezzi, ma realizzando un profitto ben maggiore. Oltretutto l'imputata era piuttosto sbrigativa nella sua attività, e a dimostrarlo è il fatto che è arrivata a realizzare sette suicidi assistiti in meno di quattro mesi».

È inoltre emerso che a quel tempo l'oggi 66enne «aveva già attività parallele molto ben remunerate come quella di infermiera indipendente e massaggiatrice terapeutica».

«Nessuna beneficenza» - A questo si aggiunge il fatto che «beneficenza non ne ha fatta e i 10'000 franchi versati con questa finalità subito dopo l'apertura della procedura penale sembrano più che altro un tentativo di rimediare a quanto fatto».

La colpa della donna è comunque stata ritenuta di media gravità: a suo favore è stata ritenuta la parziale collaborazione, il tempo trascorso dai fatti e la malattia psichica di cui è affetta. Si è quindi deciso per una pena pecuniaria, piuttosto che detentiva: «L'imputata è una pensionata, non lavora più e da allora non ha più interessato la giustizia», ha spiegato Ermani.

Durante il dibattimento di questa mattina, lo ricordiamo, la difesa aveva chiesto il proscioglimento, mentre la pubblica accusa aveva proposto sei mesi di detenzione sospesi condizionalmente per due anni più una multa di 3'000 franchi.

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COMMENTI
 

Rosso Blu 1 mese fa su tio
Tutti dovrebbero poter decidere se restate o andare, se curarsi o spegnersi. Dignità e rispetto sono un obbligo morale. Ovviamente se a decidere sono chi fa i suoi conti in tasca e sfrutta una situazione delicata è non solo egoista ma, Disumana e merita di marcire in galera
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