L'annullamento di risottate e cortei rischia di privare i candidati di un momento chiave per farsi conoscere
Il parere di due esperti di politica e di un ex deputato confermano che un impatto rischia di esserci. Quello della minore partecipazione e di una difficoltà maggiore per gli aspiranti meno noti alle cariche
BELLINZONA - Gli apocalittici, per usare una celebre catalogazione, direbbero che è carnevale tutto l’anno. Per cui il rinvio di quello vero assesterà un duro colpo soltanto a chi lo ama. Ma è un giudizio parziale, che sottovaluta il ruolo aggregativo della festa. E di conseguenza anche l’aspetto politico.
Senza palcoscenico - Rinviate di un anno, al 18 aprile 2021, le prossime elezioni comunali non potranno infatti beneficiare del palcoscenico dei carnevali. Chi mastica politica da una vita, come l’ex deputato Franco Celio (20 anni in Gran Consiglio), intravede «il rischio di una partecipazione in ulteriore calo alle elezioni. L’incontro diretto - sostiene - mantiene un’importanza e la mancanza di occasioni conduce all’indifferenza». Mancheranno soprattutto ai candidati i momenti per avvicinare i cittadini-elettori, per stringere mani (vietatissimo), dare pacche sulle spalle e conquistare un voto con un sorriso o un brindisi.
Orfani del faccia a faccia - Il carnevale è un tassello (ma che tassello!) di un mosaico che fino a ieri comprendeva partite di calcio e hockey, sagre di paese... «È il grande cambiamento innescato dal Covid. Viviamo in un mondo dove la politica fatica a trovare momenti aggregativi. La convention democratica negli Stati Uniti ne è un chiaro esempio» sottolinea il politologo Oscar Mazzoleni, professore all’Università di Losanna. «Il faccia a faccia, nonostante l’avvento dei social, finora era rimasto una delle caratteristiche proprie del fare politica. Anche questo è stato messo in quarantena dal coronavirus. Il rischio maggiore che vedo? Uno scollamento tra l’elettorato e i candidati».
La campagna del "büscion" - Per paradosso quella che è anche la capitale della festa in maschera rischia di patirne meno: «I carnevali sono momenti aggregativi che giocano un loro ruolo - commenta lo storico Andrea Ghiringhelli, che disturbiamo durante una camminata ad alta quota -, ma a Bellinzona, per fare un esempio, il luogo deputato alla campagna elettorale resta il mercato. Basti osservare, nei mesi precedenti il voto, il viavai di candidati in piazza a comprare formaggini e salumi. Un’attrazione quasi fatale».
E quella sui social - Più in generale, rileva Ghiringhelli, «oggi la comunicazione politica corre soprattutto sui social. Questi hanno un peso sempre maggiore. Posso però immaginare che i carnevali mancheranno soprattutto a chi cerca un contatto diretto con il pubblico». Ma non solo: «Mancheranno soprattutto - afferma Mazzoleni - ai candidati meno conosciuti e con una minore capacità, o visibilità, mediatica». Anche il politologo, che è direttore dell’Osservatorio della vita politica regionale, ipotizza che i minori contatti potrebbero sfociare in una minor partecipazione. Carnevali che però non solo indispensabili per farsi eleggere, come testimonia lo stesso Celio: «Non li ho mai frequentati, preferivo - ricorda l'ex granconsigliere - partecipare regolarmente ai comizi organizzati dalle varie sezioni. Ma immagino che ad altri politici mancheranno molto».
Il parere di Beltraminelli - «Ma i carnevali possono rivelarsi un'arma a doppio taglio - osserva l'ex consigliere di Stato Paolo Beltraminelli - O vivi questa festa in modo sincero e perché ti piace oppure diventa una forzatura. E l'elettore lo capisce». Anche Beltraminelli è del parere che «il Covid ha mutato il modo di porsi in chi fa politica. Cambia l'approccio». Per fortuna c'è un'alternativa: «Ho l'impressione che sia aumentato l'uso dei social per sopperire al bisogno di contatto. E sentirsi parte di una comunità. Un uso dei social, che regala spicchi di umanità, avvicina il politico all'elettorato. Poi, certamente, occorre anche dire cose pregnanti».
Smascherati i contenuti - I carnevali mancheranno, nota ancora Andrea Ghiringhelli, «anche a quei movimenti populisti che promettono ciò che il cittadino vuole sentirsi dire». L’abolizione di questi, come di altri assembramenti, conclude, «obbligherà ad affinare la comunicazione. Ciò che, secondo me, non è necessariamente un male. Magari i politici cominceranno a riflettere e a dire cose intelligenti». Forse più contenuti e meno strette di mano.