La Cina replica: «Violano gravemente i diritti umani di queste persone»
WASHINGTON - La stretta dell'amministrazione di Donald Trump su studenti e ricercatori cinesi negli Stati Uniti ha portato alla revoca di oltre mille visti, giustificandone molti con timori di spionaggio, scatenando l'ira di Pechino contro le strategie di «persecuzione politica e discriminazione razziale» degli Stati Uniti.
Gli Usa «dovrebbero smettere di usare ogni tipo di pretesto per limitare e sopprimere gli studenti cinesi senza motivo», ha detto il portavoce del ministero degli Esteri Zhao Lijian, lamentandosi delle azioni americane che, ha detto, «violano gravemente i diritti umani di questi studenti" e assicurando che la Cina "si riserva il diritto di rispondere ulteriormente».
Il deterioramento dei rapporti tra le prime due economie del pianeta procede a passo spedito senza risparmiare uno di quei settori considerati più floridi «per la comprensione reciproca», travolto da sospetti, accuse e scoperta di casi di spionaggio.
Mercoledì il Dipartimento di Stato americano ha dato le prime cifre degli effetti dell'ordine esecutivo di Trump, notando che più di un migliaio di visti a studenti e ricercatori erano stati revocati dall'efficacia del provvedimento del primo giugno.
«Gli studenti laureati ad alto rischio e i ricercatori non ammissibili in base alla misura rappresentano soltanto un piccolo sottoinsieme del numero totale di studenti e studiosi cinesi che vengono negli Usa», mentre saranno «ancora accolti studenti e studiosi che non promuovono gli obiettivi di dominio militare del Partito comunista cinese».
Tra gli ultimi casi segnalati, c'è quello di fine agosto alla University of North Texas, dove ai 15 ricercatori del Chinese Scholarship Council (Csc), un programma finanziato dal ministero dell'Educazione di Pechino, è stato detto che avevano 30 giorni per lasciare il Paese senza fornire spiegazioni.
L'iniziativa dell'università è arrivata dopo che le autorità statunitensi hanno sollecitato gli atenei a essere "in costante allerta" per i potenziali casi di spionaggio e influenza da enti governativi cinesi, incluso il Csc. Secondo un rapporto diffuso a luglio dal Center for Security and Emerging Technology della Georgetown University, il Council ha sostenuto gli studi del 7%-18% dei 370'000 studenti cinesi iscritti alle università americane nel 2018-19, risultando il primo gruppo tra i Paesi di provenienza e rappresentando una fonte di reddito redditizia per i campus, ora sotto la pressione per la pandemia del Covid-19.
Secondo le note di spiegazione delle università cinesi, il Csc dà priorità ai finanziamenti per gli studi in «campi chiave, grandi progetti, tecnologie di frontiera, ricerca di base, scienze umane e sociali e altre aree urgentemente necessarie per la strategia nazionale del Paese e per importanti industrie».
Quanto basta, secondo Washington, per giustificare l'allerta sui ricercatori del Paese asiatico per il furto di proprietà intellettuale preziosa che potrebbe finire nelle mani dell'esercito o in altri progetti del Partito comunista cinese.
Alcuni attivisti asiatici americani hanno denunciato la mossa di Trump, causa di un clima di forte sospetto nei campus, spesso non supportato da prove. I casi di spionaggio sono cresciuti vertiginosamente negli ultimi anni, parte di uno sforzo profuso da Pechino ad ampio raggio, secondo il Dipartimento di Stato. I tentativi di furto delle ricerche americane sul Covid-19 sono tra i motivi addotti per chiudere a giugno il consolato cinese di Houston, definito un 'hub di coordinamento'.