La rapida ascesa, e la ancor più rapida caduta, dell'imprenditore che ha messo in crisi Credit Suisse
NEW YORK - La filosofia di vita di Bill Hwang, fondatore e ceo di Archegos, era molto chiara e fondeva finanza e religione: «Investo nella prospettiva di Dio, in base alla sua scelta di tempo. È leggendo la Bibbia che ho capito che al Signore piace assegnare le giuste valutazioni su tutto. Noi vediamo un Dio attento ai dettagli, che vuole darci abiti migliori».
Ma si sa, Dio dà e Dio toglie e, dopo anni di incredibile fortuna finanziaria, anche per Mr Hwang è arrivata la resa dei conti.
Due vittime illustri: Credit Suisse e Nomura
In due giorni Bill Hwang ha perso tutto e la sua società ha innescato una svendita finanziaria da 30 miliardi di dollari che sta facendo crollare i titoli in tutto il mondo. Il default del fondo statunitense Archegos ha fatto chiudere, venerdì scorso, ViacomCBS e Discovery con un calo pari al 27% per poi mietere altre vittime illustri quali il colosso giapponese Nomura o Credit Suisse, istituto leader nel private banking e nella gestione patrimoniale.
Nomura ha perso a Tokyo il 16% ed ha affermato che l’importo stimato del suo credito nei confronti di «un non meglio precisato cliente statunitense» era di circa 2 miliardi di dollari. Credit Suisse è attualmente in ribasso del 13% ed ha reso noto che «sebbene sia prematuro quantificare l’entità della sua perdita questa potrebbe essere molto significativa per i risultati del primo trimestre».
Anche diversi titoli tecnologici cinesi, quali Baidu, Alibaba e Tencent, hanno subito, la scorsa settimana, una grossa svendita.
Un improvviso record negativo
Nel giro di due giorni Bill Hwang è riuscito a perdere oltre 20 miliardi di dollari: mai nessuno aveva perso così tanti soldi in così poco tempo. Il crollo finanziario della Archegos Capital Investment è dovuto al fatto che il fondo speculativo della società statunitense ha fatto default sui ‘margin call’. In pratica, secondo quanto ricostruito dal Financial Times, martedì e mercoledì scorso, diversi titoli su cui Hwang aveva investito hanno iniziato a crollare e ciò, a sua volta, ha fatto aumentare le richieste di maggiori garanzie da parte delle banche esposte che si sono poi avvalse del diritto di dichiarare il fondo in default. Le vendite forzate di grossi blocchi di azioni hanno fatto crollare i titoli delle società coinvolte che si sono deprezzate per 33 miliardi di dollari in poche ore.
Hwang non è riuscito a reintegrare le posizioni in perdita fornendo altri titoli di liquidità alle banche a copertura dei prestiti concessi e questo ha determinato il suo tracollo.
«Investiamo fra 100 milioni di dollari e un miliardo per azienda» era solito affermare, omettendo di dire che quello investito era denaro che non possedeva. Le sue operazioni, come si è poi capito, erano strutturate con una piccola parte di capitale e molto denaro preso a prestito al fine di amplificare gli eventuali guadagni. Una tecnica molto diffusa tra le società di investimento che però amplifica anche le perdite nel caso in cui le operazioni finanziarie non vadano per il verso giusto.
"Lupo di Wall Street"? Per niente
A leggere le note biografiche conosciute, Bill Hwang appare come un broker rampante, un genio della finanza capace di moltiplicare per 50 il suo patrimonio personale passando da duecento a dieci miliardi di dollari in meno di dieci anni. Tutto ciò cercando di non sembrare il classico lupo di Wall Street ma, piuttosto, un devoto credente che compie il volere di Dio in Borsa. Che poi, come detto, le sue operazioni fossero spericolate, rischiose e non documentate deve essergli sembrato un dettaglio trascurabile. Nato nel New Jersey a metà degli anni ’60, da madre missionaria e padre pastore protestante, entrambi di origini coreane, si laurea alla Ucla con un master di business administration ed approda, nei primi anni 2000, alla Tiger Management, celebre hedge fund di Julian Robertson, dove si costruisce un curriculum di tutto rispetto.
Il suo mentore, Julian Robertson era, negli anni ’90, uno dei più ammirati e celebri finanzieri nel mondo e l’allievo voleva superare il maestro. Nel 2001 dà vita al proprio fondo di investimento che chiama Tiger Asia: la società di Hwang è, a tutti gli effetti, un ‘tiger club’, un ‘cucciolo di tigre’, termine che gli addetti ai lavori usano per riferirsi alle numerose hedge fund che possono essere fatte risalire al fondo di Robertson. In poco tempo, Tiger Asia diviene uno dei più grandi investitori nei mercati asiatici e arriva a gestire anche investimenti per miliardi di dollari. Nel 2012 la Security and Exchange Commission, Sec, ente federale preposto alla vigilanza della Borsa, avvia un procedimento per insider trading e manipolazione dei mercati contro la Tiger Asia con l’accusa di aver usato informazioni riservate per facilitare gli affari.
Bill Hwang si dichiara colpevole e paga una multa di 44 milioni di dollari. Il suo buon nome ne esce compromesso: la piazza finanziaria di Hong Kong lo mette al bando per 4 anni mentre la Goldman Sachs si rifiuta di fare affari con lui per molti anni. La Tiger Asia viene chiusa e nel 2013 Hwang trasforma l’azienda in un ‘family office’, ossia un istituto preposto alla gestione del suo patrimonio personale. Nonostante le sue enormi dimensioni, la Archegos Capital Investment, in greco ‘colui che apre la strada’, in quanto ‘family office’ è esentata da obblighi di rendicontazione alla Sec a differenza di ciò che avviene per le società di investimento. I family office, infatti, non sono tenuti a rivelare alla Sec l’identità del proprietario, la direzione o il patrimonio in gestione. La società finanziaria non ha mai compilato il cosiddetto ‘modulo 13F’ che, negli Stati Uniti, deve essere presentato da qualsiasi fondo che detenga più di 100 milioni di dollari in azienda. Nessuno, in pratica, sapeva chi ci fosse dietro alla Archegos.
Un giro di almeno 30 miliardi
Come riportato dal Financial Times, grazie a Hwang le banche di investimento alleate hanno ottenuto il miglior reddito dalla configurazione dei derivati: per ogni azione detenuta da Archegos, gli istituti prestavano al family office fino a 20 azioni aggiuntive. Il vantaggio di tale modo di operare era che il capitale investito restava invisibile agli altri. La quantità di posizioni che il family office di Hwang ha spostato con l’aiuto delle banche e l’enorme leva finanziaria del capitale in debito utilizzata non può essere tutt’oggi stimata. Secondo le ricostruzioni dei media americani, Archegos gestiva almeno 30 miliardi di dollari in azioni di aziende, soprattutto americane e cinesi, avendo stretto con le stesse dei contratti chiamati ‘total return swap’.
Tali contratti consistono in dei derivati in base ai quali la banca compra un pacchetto di azioni su commissione di un cliente, lo tiene nel proprio portafoglio di investimento ma trasferisce al cliente tutti i guadagni e tutte le perdite di quelle azioni in cambio di una sostanziosa commissione e una percentuale sui guadagni. La banca, in questo caso, si fida della capacità di fare affari del proprio cliente e se l’affare va bene ne condivide il guadagno. Il vantaggio per il cliente è non risultare come il compratore delle azioni e quindi operare in maniera occulta. Questo è quanto successo lo scorso fine settimana: fino a quando le banche coinvolte dalle perdite non hanno rivelato il nome del cliente nessuno nel mercato finanziario aveva idea che dietro le enormi quantità di azioni comprate nei mesi scorsi ci fosse Archegos.
«Una serie di colpi di sfortuna»
Il problema è che, come scritto dal New York Times nelle ultime settimane, Hwang ha avuto “una serie di colpi di sfortuna” che hanno fatto crollare uno ad uno i suoi investimenti. Per ragioni indipendenti tra loro, molti dei titoli su cui Hwang aveva investito, tra cui quelli del motore di ricerca Baidu o GSX Techedu, hanno cominciato a perdere valore in maniera consistente e le banche, effettive proprietarie dei titoli, hanno chiesto ad Archegos di aumentare la quantità di soldi per limitare le perdite. Nell’impossibilità di Archegos di far fronte a tali richieste, le banche hanno iniziato a vendere i titoli che crollavano in massa con la conseguenza che tutti gli operatori di mercato hanno cominciato a fare lo stesso mandando in confusione la Borsa.
Le banche più veloci nel vendere i titoli sono riuscite a limitare i danni, mentre quelle che ci hanno messo più tempo a capire lo stato delle cose, come Nomura e Credit Suisse, hanno perso miliardi di dollari.