La detenzione e le condizioni di Alexei Navalny hanno riportato l'attenzione sui "metodi" del Cremlino
MOSCA - «Se ci fossero elezioni libere e regolari batteremo Putin. Non ho dubbi - aveva dichiarato lo scorso anno Navalny - ma il presidente russo è pazzo di soldi e di potere. Farà di tutto per rimanere al potere. Di tutto». Anche avvelenare o uccidere i propri avversari.
Da quando il 20 agosto scorso il blogger e oppositore politico Alexei Navalny è stato avvelenato con il novichok, un potente gas nervino di fabbricazione russa, si è tornato a parlare della deriva antidemocratica della Russia governata da Putin e della sempre più lunga lista di omicidi voluti dal Cremlino. Sono tantissimi i nomi di coloro che, nel tentativo di opporsi a Putin, hanno perso la vita. È di questi giorni il grido di allarme lanciato dai collaboratori di Navalny secondo i quali l’oppositore «sta morendo» a causa della mancanza di cure adeguate in carcere. «La gente di solito evita la parola "morire". Ma ora Alexei sta morendo. Nelle sue condizioni è una questione di giorni» aveva scritto su Twitter il portavoce del dissidente russo.
La detenzione di Navalny
La situazione penosa in cui si trova l’oppositore ha scatenato una dura critica nei confronti del regime russo da parte degli Stati Uniti e dei Paesi europei. Joe Biden ha dichiarato di stare valutando «una serie di misure» da imporre nel caso in cui Navalny dovesse morire mentre Joseph Borrell, Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione europea, ha avvertito che «i responsabili della salute di Navalny ne risponderanno». Il Cremlino, dal canto suo, ha risposto dichiarando che «non recepiamo in alcun modo le dichiarazioni fatte dai rappresentanti di altri Stati». Come si ricorderà, il dissidente era stato arrestato, in gennaio, al suo rientro in Russia dalla Germania dove era stato curato dall’avvelenamento che rischiava di essergli fatale. Lo stesso Navalny ha denunciato il fatto che anche durante una sua precedente detenzione in carcere avevano cercato di avvelenarlo. Di sicuro ha avuto una grave reazione allergica ed un medico aveva confermato che potesse derivare da un tentativo di avvelenamento.
Navalny sta scontando la pena di 2 anni e 5 mesi, per vecchie accuse di appropriazione indebita, nella colonia penale della città di Pokrov. Il 31 marzo l’oppositore aveva iniziato uno sciopero della fame per chiedere un trattamento medico adeguato per il mal di schiena e l’intorpidimento delle gambe e delle mani di cui soffre. Attualmente, a seguito del peggioramento delle sue condizioni di salute, è stato trasferito nel reparto ospedaliero della colonia penale IK-13 specializzato nell’osservazione medica dei detenuti, anche se lo staff del dissidente ha fatto sapere che, di fatto, «è un trasferimento alla stessa colonia di tortura» lasciando intendere che le condizioni di salute siano disperate a causa della febbre alta e la tosse che lo affligge. Inoltre, all’interno di tale struttura ospedaliera, il 20% dei detenuti soffre di tubercolosi.
Il caso di Anna Politkovskaja
Tutto il mondo assiste con il fiato sospeso l’evolversi della situazione nella speranza che il nome di Alexei Navalny non vada ad allungare la lista dei morti ammazzati per volere di Mosca. Troppi esempi di oppositori uccisi hanno ormai reso chiaro che andare contro il volere dello "Zar" costa la vita dato che Putin ha costruito un sistema politico in cui il controllo sull’opinione pubblica è quasi totale. Anna Politkovskaja era una giornalista e per anni ha coraggiosamente denunciato quanto accadeva in Cecenia, paese dilaniato dalla guerra. Qui le forze militari russe hanno calpestato impunemente qualsiasi diritto dell’uomo con torture, abusi e massacri di civili. La Politkovskaja denunciava tutto ciò nel suo giornale, Novaia Gazeta, e già nel 2004 si tentò di avvelenarla con un tè servito durante un volo aereo. Esattamente ciò che è successo a Navalvny 17 anni dopo.
La giornalista sopravvisse ma il 7 ottobre del 2006, proprio il giorno del compleanno di Putin, trovò la morte nell’androne di casa sua dove due sicari la freddarono con 4 colpi di pistola alla testa. Accanto al cadavere furono ritrovati una pistola Makarov Pm e quattro bossoli. Ai suoi funerali non si presentò neanche un esponente del governo. Il terzo processo celebrato per l’omicidio della reporter si è concluso con dure condanne per tutti gli imputati ma gli investigatori non hanno ancora rintracciato il mandante dell’omicidio.
Berezovskij, Litvinenko e il polonio
Secondo fonti di intelligence, il nome di Anna Politkovskaja compariva in una lista di persone invise al Cremlino che comprendeva anche Alexander Litvinenko e il magnate Boris Berezovskij. Quest’ultimo, detto "il padrino del Cremlino", era un ingegnere diventato miliardario nel periodo post sovietico. Venne trovato morto nel 2013, in circostanze sospette, nel bagno della propria dimora londinese. Berezovskij era stato sostenitore di Boris Eltsin ed in netta opposizione a Putin. Privato dei suoi beni a seguito di una condanna in contumacia per frode ed appropriazione indebita, si era da tempo rifugiato in Gran Bretagna dove era diventato il principale finanziatore dell’opposizione al Cremlino.
Nella sua cerchia di conoscenze vi era anche l’ex ufficiale del Kgb Alexander Litvinenko ucciso il 23 novembre 2006 col polonio radioattivo. Litvinenko era diventato un prezioso collaboratore dei servizi segreti inglesi ed era stato sospeso dal Fsb, il Servizio federale per la sicurezza della Federazione russa, per aver denunciato un complotto per uccidere Berezovskij. Prima di morire fece in tempo ad accusare Putin di essere il mandante del suo omicidio e di quello della Politkovskaja. Riuscì invece a sopravvivere Viktor Juscenko, già primo ministro ucraino dal 1999 al 2001, oltre che Presidente dell’Ucraina dal 2005 al 2010. Nel 2004, quando era in corsa per le elezioni contro il candidato russo Yanukovich, cominciò a soffrire di una misteriosa malattia che si manifestava con pesanti eruzioni cutanee che gli lasciarono evidenti cicatrici permanenti.
I tossicologi che esaminarono il suo caso diagnosticarono una presenza di diossina di 6 mila volte superiore al normale e lo stesso Juscenko affermò di sospettare di una cena svoltasi con alcuni esponenti dei servizi segreti ucraini durante la quale, stranamente, una portata venne servita in monoporzioni. Dopo l’individuazione della diossina impiegata, lo staff del politico inviò una richiesta di informazioni ai 4 laboratori al mondo in grado di produrla e solo il laboratorio di Mosca si rifiutò di fornire una risposta. Anni dopo, si scoprì che un agente segreto presente alla cena incriminata aveva lasciato l’Ucraina per rifugiarsi in Russia.
L'avvelenamento del colonnello Skripal
Altra storia emblematica è quella di Sergej Viktorovic Skripal, colonnello dei Sevizi segreti russi condannato nel 2006 per alto tradimento a favore dei Servizi segreti britannici. Liberato grazie ad uno scambio di spie con gli Stati Uniti, fu liberato nel 2010 e ricevette la cittadinanza britannica. Il 4 marzo del 2018, a Salisbury, lui e sua figlia Yulia furono vittime di avvelenamento da gas nervino, nello specifico con novichok. Mosca ha sempre respinto le accuse mentre per il governo britannico «c’è un’alta probabilità» che la Russia sia coinvolta nella vicenda. Rimane sospetta la presenza di due turisti russi, identificati come Alexander Yevgenievich Petrov e Ruslan Timurovich Boshirov, che si trovavano nelle vicinanze dell’abitazione di Skripal in atteggiamenti sospetti. I due vennero poi identificati, sia dal giornale inglese "Bellingcat" che dal russo "The Insider", come due agenti operativi dell’intelligence militare russa.
Secondo la ricostruzione fatta, i due agenti avrebbero spruzzato l’agente nervino novichok sulla maniglia della porta di casa di Skripal. Una volta venuti a contatto con la sostanza velenosa, padre e figlia avrebbero perso conoscenza su di una panchina vicino casa e, fortunatamente, soccorsi da una infermiera di passaggio che li aveva notati mentre schiumavano dalla bocca. Ora tutti i membri della famiglia Skripal vivono con un’altra identità in Nuova Zelanda.
Nel 2012 morì a Londra Alexander Perepilichny, uomo d’affari russo che aveva collaborato con gli inquirenti svizzeri in merito allo scandalo del fondo Hermitage fornendo loro importanti elementi per le indagini. Uscito per fare jogging, morì di colpo ed in un primo momento si pensò ad una morte naturale salvo poi trovare nel suo stomaco tracce di gelsomino della Carolina, un fiore altamente tossico. È invece sopravvissuta ad un tentativo di avvelenamento Karinna Moskalenko, avvocata e attivista per i diritti umani, che era stata la prima a vincere una causa contro la Federazione Russa alla Corte di Strasburgo. Il 14 ottobre 2008 il maritò scoprì che l’automobile della moglie era stata riempita da mercurio velenoso.
L’utilizzo del veleno per gli omicidi dei dissidenti politici, secondo gli esperti, è un chiaro messaggio che vuole dire che a nulla serve lasciare la Russia o rifugiarsi in altri Paesi così come è inutile vivere sotto scorta. Il veleno dice che chi tradisce è destinato a morire soffrendo. Soprattutto se ci si è inimicati lo "Zar" Putin.