Il termine per riscrivere la legge scadeva oggi, ma la Corte ha accordato al Parlamento un rinvio di sei mesi.
La motivazione: «Permangono le ragioni che hanno indotto questa Corte a sollecitare l'intervento del legislatore». L'iter parlamentare è in stato avanzato e il testo potrebbe essere licenziato entro la fine di maggio.
ROMA - Altri sei mesi. La Corte costituzionale italiana ha concesso i tempi supplementari al Parlamento per intervenire sulla misura dell'ergastolo ostativo, che dodici mesi fa era stata dichiarata incompatibile con la Costituzione italiana. Il termine, che scadeva proprio oggi, è ora fissato all'8 di novembre.
Arrivati quindi al bivio, da un lato c'era l'eventualità che la misura fosse dichiarata illegittima. La Consulta però, in virtù dell'avanzamento dei lavori parlamentari sul progetto di riforma - approvato da Montecitorio e ora al vaglio della Commissione Giustizia del Senato, e che potrebbe essere licenziato entro la fine del mese -, ha sposato nuovamente quella linea che già faceva da perimetro alla decisione di non generare «effetti disarmonici», compiendo un intervento «demolitorio» che poteva compromettere «le esigenze di prevenzione e sicurezza collettiva».
Leggendo oggi la decisione presa dalla Corte in camera di consiglio, il presidente Giuliano Amato ha dichiarato che «permangono le ragioni che hanno indotto questa Corte a sollecitare l'intervento del legislatore» e che «in considerazione dell'avanzato iter della legge appare necessario un ulteriore rinvio per consentire al Parlamento di completare i lavori». Un rinvio che era stato richiesto formalmente dalla Presidenza del Consiglio per il tramite dell'Avvocatura dello Stato.
Ergastolo ostativo: il nodo
L'attuale formulazione dell'articolo 4-bis della Legge sull'ordinamento penitenziario italiano, in estrema sintesi, impedisce che a un boss condannato al "fine pena mai" possa essere concessa la libertà condizionale in caso di mancata collaborazione con lo Stato, considerata come l'unica e vera prova di dissociazione dalle organizzazioni mafiose. Ed è su questo punto che si fonda la dichiarazione di non compatibilità con la Costituzione italiana - messa nero su bianco dalla Consulta nel 2021 - che «si manifesta nel carattere assoluto di questa presunzione poiché la collaborazione con la giustizia è l’unica strada a disposizione per accedere al procedimento». Un aspetto che per i giudici costituzionalisti è incompatibile con il fine rieducativo della pena.