La compagna dell'ex Premier concede un'intervista al Corriere della Sera per parlare di sé e del suo lutto, non ancora superato.
ROMA - Affascinante, misteriosa. Marta Fascina, deputata di Forza Italia e compagna di Silvio Berlusconi decide di rompere il silenzio e di parlare del suo dolore, dopo la morte dell'ex Premier. Lo fa con Tommaso Labate, in un'intervista al Corriere della Sera.
Il cuore del colloquio è dunque il "suo Silvio" e il lutto che porta ancora con sé, dopo oltre quattro mesi.
«Non ho superato il lutto».
«Ho perso l’uomo della mia vita, colui che mi ha regalato incondizionatamente e quotidianamente gioia e amore», confida al giornalista politico la 33enne, aggiungendo che «sono stati quattro mesi di strazio e tristezza. Il vuoto che la sua assenza terrena ha lasciato nella mia vita è incolmabile».
Dunque un sentimento, quello che la lega all'ex Presidente del Milan campione di tutto, tanto forte da non permetterle di voltare pagina. E lo dice chiaramente: «Se la domanda è se io abbia superato il lutto, la risposta è no».
Per la parlamentare, tanto «sconforto» e solitudine. Un'ombra di tristezza mitigata in parte dall'ascolto delle «canzoni d’amore che il mio Silvio era solito dedicarmi e intonare. È stato anche un abile compositore di canzoni, ne ha scritte ben 130».
«Mi ha stretto forte la mano».
Durante i funerali di Stato, celebrati in Duomo a Milano lo scorso giugno, la Fascina era stata ritratta sempre vicina agli eredi di Berlusconi, mano nella mano con Marina.
Come una di famiglia, «il mio Silvio ha consentito che stringessi strettissimi rapporti anche con i suoi figli straordinari, cui mi lega e mi legherà per sempre un rapporto di stima e affetto». Definendo poi come «misero gossip, destituito di ogni fondamento», il rumor secondo cui i figli del fondatore di Forza Italia l'avrebbero voluta "sfrattare" da Villa San Martino, ad Arcore.
Immancabile, infine, il ricordo dell'ultima notte, trascorsa vicino al grande imprenditore italiano, «mi ha detto "ti amo"», e a quello dell’ultimo istante, «il più terribile, quello che ho stampato nella mente e nel cuore», quando «mi ha stretto forte la mano».