A colloquio con la divulgatrice italiana Valeria Fonte, attivista femminista e scrittrice di "Ne uccide più la lingua"
Camminando: di giorno o di notte. Seduta: alla fermata dell’autobus o sul treno. Rilassata: in quel posto che credi sicuro. In mezzo a un mare di gente: perché sotto tutti quegli occhi che cosa può succedere?
Negli ultimi tre anni le aggressioni nei luoghi pubblici ticinesi sono notevolmente aumentate, con un vero e proprio boom a partire dal 2021. Se infatti nell’anno della pandemia si contavano, stando ai dati della polizia cantonale, quattro aggressioni nei trasporti, una negli esercizi pubblici e 15 sulla via pubblica - per un totale di 20 casi -, la situazione sembra essere oggi notevolmente cambiata, con i dati inerenti ai mezzi pubblici che sono gli unici a non aver subito variazioni.
Nel 2021 e nel 2022 le aggressioni denunciate e/o segnalate nelle attività per il pubblico sono state rispettivamente 4 e 13 e quelle avvenute sulla via pubblica 35 e 22. Le molestie sessuali sono invece più difficili da inquadrare. Al contrario delle aggressioni, se nel 2020 si erano verificati almeno 2 casi nei trasporti pubblici, l’anno successivo sono stati tre in più e l’anno appena dopo sono stati in totale almeno 7. “Almeno” perché i casi potrebbero essere molti di più, ma non per forza sono stati denunciati o segnalati alle autorità.
Sempre guardando alle molestie, negli esercizi pubblici se ne segnala una nel 2020, quattro nel 2021 e nuovamente una nel 2022. Anche i dati inerenti alla via pubblica tendono al basso con 5 casi nel 2020, 2 nel 2021 e 4 nel 2022.
E, no, non avvengono per forza in luoghi bui, isolati e senza testimoni. Come spiega sempre la polizia, «questo tipo di reati si verifica più frequentemente in situazioni con alta densità di persone (ad esempio locali notturni e manifestazioni…), in un contesto soprattutto urbano, prevalentemente durante le fasce orarie serali-notturne». E per ciò che concerne le molestie sessuali in luogo pubblico «le vittime sono prevalentemente persone di sesso femminile».
Perché questo avviene? Ne abbiamo parlato con Valeria Fonte, attivista femminista, divulgatrice e autrice di “Ne uccide più la lingua”.
«Succede ovunque e in qualsiasi condizione. Questo lo ripeto sempre per eliminare definitivamente le cattive convinzioni secondo cui se ti succede, hai imboccato la strada sbagliata. Lo stesso ce lo raccontano con gli stupri e le violenze fisiche di ogni tipo. Non è così. Non c’entra la strada sbagliata. Non c’entra cosa indossi. C’entra solo il potere di un uomo, uno a caso, che ha pensato di poterti appellare con “Oh, che gran figa che sei”. Si potrebbe pensare che, di fronte a tante persone, i molestatori possano desistere, ma così non è. Succede la cosa opposta. Più gente c’è intorno, più ti mettono alla prova. Più gente c’è intorno, più pensano che noi non reagiamo per non sembrare fuori di testa. Spesso accade proprio così, che ci preoccupiamo più di cosa penserebbero le persone che ci guardano, che del nostro profondo disagio. Questa dinamica la racconta lunga sulla sfiducia che abbiamo nel prossimo quando c’è di mezzo la violenza di genere. Nessuna avrebbe paura di sbraitare perché si è rotta una gamba e ha bisogno di un’ambulanza. Chiunque si fermerebbe e l’aiuterebbe. L’indifferenza del nostro tempo, o meglio, l’assuefazione, invece, ci seda più degli uomini».
Molto spesso è difficile reagire in queste situazioni. Conoscendo il tema a fondo e avendone capito i meccanismi, si riesce a rispondere o il fattore “sorpresa” te lo impedisce?
«Io riesco a rispondere di giorno, quando voglio, perché voglio. Impreco molto o alzo il dito medio. Mi avvicino e chiedo spiegazioni all’interessato su quanto ha appena compiuto. Non salto una volta. Questo non succede perché sono una persona sveglia e riesco a reagire in modo istantaneo quando la situazione lo richiede, ma perché quando esco sulle strade, se sono da sola, sono in perenne stato di allerta. Se stai sulla riva del mare in punta di piedi, pronta a indietreggiare quando arriva l’onda per non bagnarti, non hai di certo chissà quali peculiarità di agilità e prontezza. Sei solo brava a stare in tensione, pronta, sempre. Tra l’altro, gli uomini che ti molesteranno, proprio come le onde, li vedi da lontano. I loro sguardi, l’impostazione del corpo, il passo che rallenta o che accelera per raggiungerti. Di notte, invece, è diverso. Quando fa buio non li posso anticipare perché non li vedo, non li riconosco, e questo è di certo uno svantaggio. Lì sì che si deve essere coraggiose per rispondere. Lì sì che c’è qualche tipo di talento. E non sempre ce l’ho, come le mie compagne, perché preferisco salvarmi la vita che fare la sborona invincibile».
Cosa puoi fare in Italia se vieni molestata o aggredita per strada? A chi puoi rivolgerti?
«Puoi correre molto velocemente, puoi andare in freezing, puoi pregare nel dio in cui credi o in cui non credi, puoi picchiare il molestatore oppure piangere, ma non esiste un modo concreto per difendersi dalle molestie e dalle aggressioni in strada. Non esistono leggi che puniscano questo tipo di reato in modo efficace e concreto. Quindi le chiederemo, le scriveremo di nostro pugno, se necessario. Ma non possiamo raccontarci alcuna bugia. La verità è che questa nazione ci guarda come delle invasate con le manie di persecuzione, e invece siamo solo persone timorose di non poter arrivare a casa per pisciare. Una funzionale iniziativa è quella di Donnexstrada, che ti videochiamano quando hai bisogno di compagnia in situazioni potenzialmente pericolose, come durante il tragitto verso casa, di sera, da sole. Credo fermamente che finché non si mettono sul piatto delle leggi concrete, bisognerà arginare il problema del patriarcato sulle strade e sui marciapiedi con l’aiuto fra compagne. Si tratta di uno scenario terribile, considerando che il catcalling, in Italia, non è reato. E quando non esiste un reato, cosa c’è da punire e da rieducare? Niente».
In Italia sta crescendo un sentimento di sfiducia nei confronti di autorità e media in fatto di molestie e violenze contro le donne. Come mai?
«Non sono d’accordo sul dire che in Italia “stia crescendo” un sentimento di sfiducia. In Italia non cresce più niente, manco la disillusione. In Italia, al massimo, si sta affievolendo la fiducia nei nostri mezzi. Voci e corpi, libertà e spazi. Pensiamo che sia “inutile” reagire. Che non serva. Che se ci manganella la polizia il 25 di novembre, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, a Roma, mentre piangiamo le compagne uccise, cosa abbiamo da vedere ancora? Nemmeno fingono più di essere alleati. Non è necessario. Perché lo Stato li protegge. Così come i media, che raccontano eventi di questa portata sotto l’ombrello della parola “scontro”. Ma non è uno scontro quando il braccio teso e fascista di questa nazione dispiega le sue forze per sedare le donne e le piazze in rivolta: è una mattanza, non un conflitto ad armi pari. Ci credo che le donne non si fidano delle autorità e dei media. Neppure io mi fido. Come potremmo chiedere aiuto alle stesse istituzioni che ci massacrano?»
Nell’ultimo anno sono nati i gruppi di difesa (Gdd). Puoi spiegarci come funzionano e da quale esigenza nascono?
«I Gdd, gruppi di difesa, nascono di fronte a un’esigenza concreta: essere il contraddittorio alla violenza che subiamo. Sono diversi dai branchi maschili, perché non esercitano violenza ingiustificata, ma legittima difesa e protezione reciproca giustificata. Se una compagna ha bisogno di aiuto in una situazione che riconosce come pericolosa, può scrivere al gruppo di difesa della sua città e chiedere un supporto reale e immediato. Alcuni esempi: se un abuser ti minaccia di raggiungerti, se sai che sarà in un luogo in cui dovrai andare anche tu, se sei ubriaca e hai bisogno di compagnia per tornare a casa, si può chiedere a chi si trova nelle vicinanze un supporto fisico o al telefono, per fare gruppo. Va minacciato il potere della persona abusante, perché quel potere si piega solo di fronte a un potere più grande e imprevisto. I mezzi sono la cosa più importante: avere un’auto, avere dei luoghi sicuri, spray al peperoncino, delle professioniste o dei professionisti a cui rivolgerci durante o dopo il momento pericoloso, suggerire delle realtà di supporto come i Centri Antiviolenza e accompagnare le persone che esigono tutela in luoghi sicuri. I rischi sono infiniti, inutile che io li elenchi tutti. Non sentirsela, infatti, non equivale a mancanza di coraggio o di sorellanza, questo voglio sia chiaro. È infine, ovviamente, un palliativo. Non sostituisce l’educazione necessaria che continueremo a chiedere a gran voce alle istituzioni. Nel frattempo, però, ci difendiamo».