I post contro i vaccini possono essere rimossi dai social network, per il Tribunale di Varese
VARESE - Gli amministratori dei social network possono rimuovere i contenuti che veicolano disinformazione sanitaria e sospendere gli account degli utenti che si oppongono alla vaccinazione. È quanto ha stabilito un'ordinanza del Tribunale di Varese, depositata lo scorso 2 agosto.
La propaganda no-vax - Il caso, ricorda oggi Il Sole 24 Ore, riguarda il post di una donna che aveva condiviso su Facebook il video di una parlamentare che definiva «iniezioni letali» i vaccini contro il coronavirus e invitava gli utenti al boicottaggio. La donna, si legge nel documento, era inoltre titolare di un gruppo con 757 iscritti e a più riprese era stata bloccata per violazione dello Standard della Community a causa della pubblicazione di contenuti no vax. Fino a uno stop di 30 giorni in data 10 settembre 2021.
«Diritto va bilanciato con gli altri» - La ricorrente giudicava «arbitraria, illecita e gravemente lesiva» dei propri diritti la decisione presa da Facebook. Il tribunale ha invece stabilito che, di fronte a una situazione di rischio come quello derivante dalla propaganda no vax, è legittimo limitare il diritto di espressione di un individuo. «La libertà di espressione è un diritto costituzionale che va bilanciato con gli altri diritti di rango costituzionale» e, nel caso di Facebook, «la libertà di iniziativa economica» che consente a un'impresa di «disciplinare tramite condizioni contrattuali il servizio che offre». Quindi Facebook non ha commesso illeciti con la rimozione dei post, una volta accertato che questi violavano le linee guida in tema di salute, dopo l'aggiornamento d'inizio 2020 seguito all'esplosione della pandemia di coronavirus.
Il diritto alla salute - «Il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero non è assoluto, ma incontra dei limiti» si legge ancora nell'ordinanza. Le regole relative alla disinformazione e, «in particolare, a quella dannosa per la salute», sono finalizzate «a limitare la diffusione di notizie false relative al Covid-19, mirano a tutelare la salute pubblica, diritto avente sicura rilevanza costituzionale». Già la Corte europea dei diritti dell'uomo ha stabilito che «la libertà di espressione può essere limitata a fine di tutelare, tra gli altri valori, anche quello alla salute».
Facebook non è «un servizio essenziale» - Inoltre il tribunale varesino ha stabilito che «non poteva ritenersi leso il diritto della ricorrente di manifestare liberamente il proprio pensiero», potendo farlo altrove e non esclusivamente su Facebook, non essendo quello del social «un servizio essenziale».