Le parole di Re Carlo III dopo la cerimonia per l'incoronazione.
LONDRA - «Sono qui per servire, non per essere servito». Ha il sapore di un impegno reso consapevole dall'età, e forse anche di una giustificazione del proprio ruolo in un mondo e in un Paese che cambiano, il messaggio scandito da re Carlo III a suggello dell'incoronazione solenne che oggi ne ha sancito il destino fra le navate cariche di storia dell'abbazia di Westminster, nel cuore di Londra.
Quello di successore al trono britannico, dopo il lunghissimo regno di Elisabetta II, e protagonista di una parabola che si compie riflettendo i bagliori della maturità, se non del crepuscolo della sua vita: dopo un'attesa durata sette decenni.
Un passaggio preparato da tempo e nei minimi dettagli, evidentemente. E tuttavia non privo di insidie per il monarca più anziano mai incoronato a memoria d'uomo sull'isola d'oltre Manica. Chiamato ad affrontare il rito dell'unzione, dell'intronizzazione e dell'investitura a 74 anni compiuti, con al fianco una consorte 75enne, Camilla, riconosciuta infine senza più remore con l'etichetta di «Sua Maestà la Regina» come in una rivincita rispetto allo stigma ormai datato di 'rivale' della compianta principessa Diana.
Rito nel quale Carlo, non più giovane ma neppure estraneo a certe sensibilità moderne, ha provato a far fondere gli sfarzi e le radici millenarie di una tradizione dalla quale nessuna monarchia può prescindere a qualche sforzo d'innovazione, di maggiore inclusività, indispensabile per cercare di rispondere alla sfida di un consenso in calo - in questa fase di transizione - in particolare fra i sudditi più giovani del Regno. A meno di non credere di potersi affidare solo agli arresti preventivi delle frange di contestatori anti-monarchici, come fatto sbrigativamente da Scotland Yard oggi stesso per tenere a bada il minimo dissenso organizzato.
Ecco quindi sintetizzato il senso di una cerimonia officiata con i crismi della secolare liturgia della Chiesa nazionale d'Inghilterra, dinanzi agli occhi di 2000 ospiti d'onore fra leader stranieri (incluso il presidente della Confederazione Alain Berset), first ladies (dall'americana Jill Biden all'ucraina Olena Zelenska), teste coronate, dignitari britannici, personalità e celebrities. Come pure di migliaia di fan e curiosi accalcati sotto una pioggia intermittente da perfetta cartolina british; o dai milioni che per la prima volta nella storia hanno potuto assistere all'intero evento in diretta tv.
Ma punteggiata pure da variazioni inedite: con l'esordio di donne-ecclesiastiche in vesti di concelebranti accanto all'arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, primate anglicano; la partecipazione di esponenti di altre confessioni cristiane con tanto di presenza cattolica (un tempo si sarebbe detto spregiativamente 'papista') del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin; il coinvolgimento di rappresentanti di comunità e fedi non cristiane praticate da tanti in un Regno che ha oggi in Rishi Sunak un primo ministro d'origine indiana (islam, ebraismo, buddismo, induismo, religione sikh); o ancora la parata militare multietnica che ha affiancato i reali nella processione di ritorno dall'abbazia verso Buckingham Palace.
Un canovaccio il cui atto clou è stato quello - risplendente di simboli del passato - dell'incoronazione vera e propria di Carlo (e poi di Camilla). Preceduta dal giuramento di fedeltà alle leggi del Regno, come alla dottrina della Chiesa d'Inghilterra e ai propri doveri di «fedele protestante» ispirati all'impegno a «servire» nel nome «di Gesù Cristo, Re dei Re»; culminata nell'unzione religiosa in ginocchio e senza paramenti di sorta, dietro un paravento, con l'olio sacramentale; conclusa con l'atto di sottomissione e lealtà ricevuto dal figlio primogenito William - invece che come in passato dall'intera assemblea - e sigillato da un bacio rituale sulla guancia dell'erede al trono non senza cenni di commozione.
Elementi di continuità e di novità cui ha fatto da cornice il cerimoniale della consegna delle insegne regali (globo d'oro, scettri, spada) a un sovrano assiso sul trono medievale di Sant'Edoardo il Confessore; il corteo di ritorno a palazzo della coppia reali a bordo dell'antica Carrozza di Stato d'Oro; l'affaccio dal balcone per il saluto ai sudditi - sotto un cielo attraversato dalla scia con i colori dell'Union Jack lasciati dagli aerei della pattuglia acrobatica delle Red Arrows della Raf - al fianco dei membri di casa Windsor «attivi» nei compiti di rappresentanza dinastica. Con il delfino William in primo piano, vicino ai principini George, Charlotte e all'irrefrenabile Louis, oltre che a una scintillante consorte Kate resa ancor più visibile dall'assenza della 'rivale' Meghan; e il secondogenito 'ribelle' Harry viceversa escluso, dopo la toccata e fuga solitaria di una presenza limitata al rito religioso e confinata in terza fila.
Motivo di amarezza anche nel gran giorno del destino, forse, per Carlo III, apparso a tratti sorridente, a tratti pensoso. Confortato comunque dall'ondata di messaggi di felicitazioni e stima ricevuti da mezzo mondo - fra leader presenti e non - a partire dal presidente Usa Joe Biden.