Archiviata la pratica Mattarella bis, nel Movimento grillino si allarga una spaccatura che pare sempre più insanabile.
L'elezione del presidente della Repubblica ha portato del tutto alla luce del sole la guerra intestina tra l'ex premier Giuseppe Conte e Luigi Di Maio. La convivenza sembra impossibile... ma la fine della legislatura è dietro l'angolo.
ROMA - La guerra intestina si combatte ormai alla luce del sole, catapultata in superficie dalle pagine e dall'epilogo dell'ultimo "romanzo Quirinale". Troppa la polvere per essere nascosta sotto il tappeto. Anche perché qualcuno quel tappeto ha iniziato a sbatterlo in bella vista, davanti a tutto il Paese.
Le spaccature nello scenario politico della vicina Penisola si sono consumate un po' ovunque. Nel centrodestra, sempre che ancora esista un'entità che tale può essere definita, si è formalizzato tra giovedì e venerdì scorso; ratificato nero su bianco dalla salva dei franchi tiratori che hanno abbattuto nelle urne il nome di Elisabetta Casellati. Nel centrosinistra, che all'imposizione della "scheda bianca" dall'alto ha risposto dal basso tracciando i primi contorni del Mattarella bis. Ma il fronte in cui le metastasi di questa guerra di logoramento hanno attecchito con maggiore aggressività è il cuore del Movimento 5 Stelle.
Guerra finale. Resa dei conti. O di Conte; verso la quale sembra puntare l'attuale ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che sabato dopo il voto ha chiesto senza mezzi termini «una riflessione politica interna». Il proverbiale "casus belli" è da ricercare in quella rosa di nomi che l'ex premier e Matteo Salvini si sono affrettati, venerdì sera, a presentare di fronte alle telecamere al termine del vertice a tre teste con il Partito democratico. Il segretario dem Enrico Letta l'ha presa male. Di Maio anche peggio. E oggi i venti di guerra tra i due leader pentastellati soffiano impetuosi tra le colonne dei quotidiani italiani, con i rispettivi «eserciti» - riporta "La Stampa" - che «si schierano all'ombra del Quirinale».
Chi resta fuori dalla porta?
Chiarimento? Confronto? L'aria che tira, prosegue il foglio torinese, è piuttosto quella di un vero processo. Perché, stando alle alte sfere del Movimento, una convivenza tra queste due anime non sarebbe più possibile. O, per dirla senza troppe circonlocuzioni, Giuseppe Conte è intenzionato a cacciare di casa l'ex vicepremier e sta raccogliendo il necessario per formalizzare lo sfratto. Due le accuse, da provare ovviamente: la prima è l'aver puntato su candidature diverse nell'elezione al Colle. La seconda, violando gli statuti del Movimento (che però oggi è una galassia tutt'altro che monolitica), il fatto di aver dato vita a una sua personale corrente. Dalla Farnesina si ribatte ufficiosamente a questo "j'accuse" puntando il dito su una presunta intenzione di Conte di ritirare i propri ministri da Palazzo Chigi, facendo cadere così il governo Draghi.
Certo è che nel combattere sull'uscio di casa sussiste per entrambi il rischio di ritrovarsi a scivolare fuori dalla porta. "La Repubblica" cita un anonimo big dei "5 Stelle" che afferma: «Andremo in guerra, ci saranno morti e feriti. Però obiettivi, esigenze, linguaggi e target sono ormai troppo diversi». Resta tuttavia difficile al momento dare una misura agli schieramenti in campo. Da un lato si parla di una settantina almeno di parlamentari fedeli a Di Maio. Il fronte avverso assicura che non sono più di una ventina. Ma il ministro, stando a chi lo conosce da vicino, è sufficientemente accorto per sfoderare l'arma solamente nella certezza che il colpo andrà poi a segno. E, al netto del prurito che potrebbe solleticare qualche indice, non va infine dimenticato che il 2023 e la fine della legislatura sono giusto dietro l'angolo.