Il voltafaccia di Lega e Forza Italia, che non hanno votato la risoluzione Casini, ha sgretolato la maggioranza.
La fiducia (mutilata) ottenuta in Senato dovrebbe infatti aver convinto il premier a confermare (non si sa ancora quando) le proprie dimissioni a Sergio Mattarella.
ROMA - Crisi di governo in Italia. Passa la fiducia al premier Mario Draghi in Senato, ma con soli 95 voti favorevoli: il risultato più basso che il governo ha ottenuto in questa legislatura. Un numero esiguo per proseguire il cammino del governo. A mettere la parole fine non è solo il Movimento 5 stelle che non partecipa al voto ma pesano sull'esito le assenze di Lega e Forza Italia che lasciano l'emiciclo.
I senatori 5 stelle di Giuseppe Conte però garantiscono il numero legale rimanendo in Aula, come «presenti non votanti». Alla fine i presenti sono risultati 192, 133 i votanti e il tetto per la maggioranza pari a 67.
L'ultimo tentativo di Mattarella
Con un ultimo tentativo, il presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella ha fatto il possibile per evitare la fine traumatica della legislatura e anche di un governo da lui voluto per guidare il Paese tra Covid e guerra e gestire il difficilissimo percorso del Piano nazionale di ricostruzione e resilienza (Pnrr).
Non a caso Mattarella aveva rifiutato la settimana scorsa le dimissioni del premier. Non è stato facile neanche per il capo dello Stato convincere l'ex Governatore della Bce a riflettere, meditare, provarci ancora. Un lavoro ai fianchi, è stato definito, che ha portato tempo per consegnare al premier quel mondo reale di cittadini e associazioni che lo hanno invitato, a volte pregato, a rimanere a palazzo Chigi..
Il 2 ottobre alle urne
Il Quirinale era pronto da tempo all'evento traumatico: gli uffici del presidente avevano già studiato nei dettagli un percorso che ha il suo traguardo nella casella del 2 ottobre individuata come data più idonea per richiamare gli italiani alle urne.
Probabile quindi che il presidente della Repubblica, dopo aver ricevuto Mario Draghi per la procedura di dimissione si possa prendere qualche giorno prima di sciogliere formalmente le Camere per poter entrare nei 70 giorni che al massimo possono passare dallo scioglimento alle elezioni.
Draghi fino a novembre?
Fonti di maggioranza hanno fatto sapere che il presidente del Consiglio potrebbe annunciare domani all'aula della Camera le proprie dimissioni. Ma soprattutto, da giorni, la preoccupazione del Quirinale è quella di costruire un paracadute all'Italia. Una protezione che possa portare ordinatamente il Paese alle urne e proteggerlo dalle inevitabili ripercussioni sui mercati che la fine del governo Draghi comporterà.
Questo paracadute è ancora Mario Draghi che non è stato sfiduciato e potrà, forse obtorto collo, traghettare con maggior vigore un Italia che da qui alla formazione del nuovo governo, cioè almeno novembre, ha molte, molte cose da fare e compiti da eseguire.
La cronaca della giornata - Lega e Forza Italia "mollano" il governo Draghi, non partecipando al voto di fiducia al Senato, ma lo strappo diventa il detonatore per il partito azzurro. Tra i forzisti si sfiora la rissa e la tensione sale fino all'addio di Mariastella Gelmini. Dopo quasi 25 anni di militanza l'ex fedelissima di Silvio Berlusconi, ma da tempo la più ribelle, lascia il partito: «Ha definitivamente voltato le spalle agli italiani e ha ceduto lo scettro a Matteo Salvini». È il j'accuse della ministra responsabile degli Affari regionali che, prima del voto, annuncia la decisione amara:«"Non lo riconosco più, non posso restare un minuto di più in questo partito».
Per Gelmini è cronaca di un divorzio annunciato, visti i distinguo sempre più frequenti e diventati ormai scontri alla luce del sole. E la "rissa" va in scena sul ring improvvisato di Palazzo Madama. È lì che si sente Gelmini chiedere alla senatrice Licia Ronzulli (che da tempo le ha strappato il ruolo di fedelissima del Cavaliere): «Contenta, ora che hai mandato a casa il governo?». In risposta riceve parole dure e urlate: «Vai a piangere da un'altra parte e prenditi lo Xanax».
Per ora, Gelmini è l'unica a uscire allo scoperto. Ma non è un mistero il disappunto condiviso dagli altri due ministri azzurri (Renato Brunetta e Marta Carfagna) e in generale dall'ala governista pure della Lega, oltre ai suoi stessi governatori. Tutti spiazzati dallo strappo che lascia di fatto al centrodestra il cerino della crisi.
Eppure, guardando alle prossime settimane, la coalizione si ricompatta in vista delle elezioni anticipate ormai alle porte. E non a caso dopo il voto in Aula, Berlusconi e Giorgia Meloni - la più ferrea sostenitrice del ritorno alle urne, nel centrodestra - si sentono al telefono. Dopo settimane di silenzi e incomprensioni. Lo stesso era successo nel pomeriggio con contatti tra Matteo e Giorgia. La leader di Fratelli d'Italia gongola e in un comizio a Roma azzarda: «Se tutto va bene, si potrà votare anche tra due mesi, noi siamo pronti».
La giornata più lunga per il governo Draghi, e per i senatori che ne segnano il destino, comincia con toni vaghi ma soft. Prima delle attesissime parole di Draghi in aula, Salvini posta un video in cui annuncia sorridente che la Lega «unita e compatta, deciderà solo e soltanto per il bene e il futuro dell'Italia».
Non immagina gli "schiaffi" che il premier riserva anche al suo partito, non solo al M5s: da quel «sostegno a proteste non autorizzate, e talvolta violente, contro la maggioranza di governo» con cui Draghi si riferisce ai taxisti sostenuti proprio dalla Lega, fino al "no" a un nuovo scostamento di bilancio.
Pesano pure le omissioni sulla flat tax, sulla pace fiscale e sull'agognato taglio al reddito di cittadinanza che il presidente del Consiglio non esplicita. Per la Lega, è troppo.
Il fermento sale in una riunione convocata al volo con Salvini e porta il segretario di nuovo a Villa grande, la residenza romana di Berlusconi. Lì si ripete il vertice di centrodestra, che ieri aveva già alzato il tiro. Ora si decide di forzare la mano e giocarsi il tutto per tutto. Salvini convince il Cavaliere e passa la linea sovranista. Nonostante tutto e nonostante le perplessità dei moderati di entrambi i partiti e dei centristi. La strategia si traduce nella risoluzione - proposta dapprima dalla Lega e poi sottoscritta da Forza Italia - che chiede un Draghi bis senza il Movimento 5 stelle