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GUERRA COMMERCIALE

Dazi amari

Donald Trump caccia la globalizzazione fuori dalla finestra e tassa (quasi) tutti. Anche territori del tutto disabitati
AFP
Dazi amari
Donald Trump caccia la globalizzazione fuori dalla finestra e tassa (quasi) tutti. Anche territori del tutto disabitati

WASHINGTON D.C. - La globalizzazione fuori dalla finestra (perlomeno come ideologia, perché il suo "telaio" resta fondamentale) e il ritorno del mercantilismo, in una forma che si potrebbe dire ibrida. La giornata di ieri - il "Liberation Day" secondo la logica di Donald Trump - ha dato ufficialmente inizio alla cosiddetta "guerra commerciale" contro i «parassiti», trasformando in realtà quello spettro che il tycoon aveva a lungo agitato sin dalla campagna elettorale. Un bombardamento a tappeto di dazi su scala globale. Insomma, in brutale sintesi: dazi amari; per citare una formula che risuona ormai da qualche giorno.

«Il 2 aprile sarà per sempre ricordato come il giorno in cui l'industria americana rinasce», ha dichiarato Trump, mettendo i sottotitoli al suo personalissimo «giorno della liberazione». Quello in cui ha colpito tutto, nemici e amici. Perché in alcuni casi «gli amici sono peggiori dei nemici». E non ha nemmeno nascosto quanto i dazi a lui tanto cari saranno probabilmente una medicina amara per lo stesso popolo degli Stati Uniti. Potranno causare «un po' di dolore», ma «ne vale la pena». Sostiene lui. L'impressione, tuttavia, è che la scure di Trump altro non sia che un "ricatto" formale per portare i singoli destinatari al tavolo dei negoziati.

Perché tassare anche i pinguini?
E così, probabilmente, si spiegano anche alcuni coloriti eccessi del protezionismo "trumpiano"; così extra-large nella sua estensione da aver investito anche territori assolutamente insospettabili. Perché se lo schiaffo all'Unione europea (20%) o la batosta rifilata alla Cina (per un complessivo 54%) non sorprendono più di tanto, ben più difficile è dare un'immediata lettura a quel 10% di tariffe aggiuntive rifilate per fare un esempio all'arcipelago delle isole Heard e McDonald. Del tutto disabitate, a meno che non si vogliano includere nel censimento pinguini e foche.

E ne possiamo citare altri. Trump ha tassato anche le isole Norfolk (29%) così come le Svalbard (10%). Territori che difficilmente possono ergersi a concorrenti commerciali di Washington. Nel grande quadro, un senso lo hanno anche i dazi ai pinguini. Perché alla fine si tratta di territori che, al netto di un certo grado di autonomia, dipendono da altri governi. E potrebbero così essere sfruttati come scappatoie dalla rete intricata di dazi lanciata da Donald Trump, che in questo modo si assicura di disinnescare eventuali triangolazioni commerciali.

Dazi per (quasi) tutti

Arabia Saudita: 10%
Argentina: 10%
Australia:10%
Bangladesh: 37%
Botswana: 37%
Brasile: 10%
Cambogia: 49%
Cile: 10%
Cina: 34% (54%)
Colombia: 10%
Corea del Sud: 25%
Costa d'Avorio: 21%
Costa Rica: 17% → 10%
Ecuador: 10%
Egitto: 10%
El Salvador: 10%
Emirati Arabi Uniti: 10%
Filippine: 17%
Giappone: 24%
Giordania: 20%
Guatemala: 10%
Honduras: 0%
India: 26%
Indonesia: 32%
Israele: 17%
Kazakistan: 27%
Laos: 48%
Madagascar: 47%
Malesia: 24%
Marocco: 10%
Myanmar: 44%
Nicaragua: 18%
Norvegia: 15%
Nuova Zelanda: 10%
Pakistan: 29%
Perù: 10%
Regno Unito: 10%
Repubblica Dominicana: 10%
Serbia: 37%
Singapore: 10%
Sri Lanka: 44%
Sudafrica: 30%
Svizzera: 31%
Taiwan: 32%
Thailandia: 36%
Trinidad e Tobago: 10%
Tunisia: 28%
Turchia: 10%
Unione europea: 20%
Vietnam: 46%



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