Il reading di Moni Ovadia apre giovedì 3 giugno la nuova edizione - interamente online - del festival Poestate
LUGANO - Si apre con Moni Ovadia e il reading tratto da "Laudato sì" l'edizione 2021 di Poestate, in programma da giovedì 3 a sabato 5 giugno. Il festival torna anche quest'anno in edizione completamente online, che sarà possibile vedere sui canali YouTube e Facebook di Tio/20minuti, su quelli di Poestate e sul sito ufficiale del festival.
Lo scrittore, attore, musicista e intellettuale è accompagnato da Maurizio Dehò al violino e da Nadio Marenco alla fisarmonica, in una messa in scena firmata da Corvino Produzioni. Perché Ovadia, che nasce ebreo ed è dichiaratamente agnostico, ha scelto di leggere un’enciclica di Papa Francesco pubblicata nel 2015? Quali messaggi si possono trarre dalle parole del Pontefice? Ce lo ha spiegato nel corso di un’intervista telefonica.
So che lo considera un testo rivoluzionario: non è singolare che arrivi dal leader di una delle istituzioni giudicate più conservatrici in assoluto, ovvero la Chiesa cattolica?
«La Chiesa cattolica è una grande istituzione che, per la vastità della sua influenza, assume necessariamente posizioni contraddittorie. Oggi considero Papa Francesco l'unica vera autorità etica e morale a livello planetario, anche se su certe posizioni tradizionaliste non mi trovo d'accordo con la Chiesa. Ma bisogna rispettare i suoi valori: quando sento qualcuno criticare Papa Francesco perché non prende posizione sull'aborto, gli ricordo che non parliamo del segretario di un partito marxista o radicale».
Lo ritiene quindi in qualche modo un rivoluzionario egli stesso, al pari del suo testo?
«Lo si capisce fin dal nome che ha scelto: san Francesco è una figura assolutamente anomala nella storia della Chiesa cattolica, la quale ha avuto lungimiranza nel tenerlo entro i suoi confini e non dichiararlo eretico. Papa Francesco ha prodotto una rottura straordinaria: credo che metà della Curia romana lo vedrebbe volentieri in pensione subito, per usare un eufemismo. Ha squassato un certo mondo, fatto di posizioni legate al potere e non certo alla spiritualità».
È corretto dire che "Laudato sì" è un’enciclica che, al contempo, è ecologica e sociale?
«Certamente. Ecologia e giustizia sociale vanno di pari passo in questo documento. Una non può essere esclusa dall'altra. Ci sono delle parti più legate alla fede cristiana e cattolica, ma in altre credo che Papa Francesco abbia voluto dire: "Guardate che il primo dovere di un cristiano non è quello di battersi il petto e inseguire riti vuoti. Il suo primo dovere è d'identificare il proprio popolo negli ultimi, che sono assolutamente i più colpiti dalla devastazione della terra"».
Cosa giunge quindi a dirci, Francesco?
«Ci ricorda che bisogna essere custodi del pianeta, che bisogna trasmetterlo alle generazioni future mantenendolo in salute, anzi migliorandolo laddove ci è possibile. È fondamentale che ci sia la centralità della vita di tutte le forme viventi, prima ancora che quella dell'uomo, nel cuore di ogni riflessione spirituale».
Quanto siamo distanti, oggi, da questa concezione del mondo?
«Viviamo in una società che mette al centro la priorità dello "sviluppo", e voglio essere clemente. Spesso il profitto viene messo davanti a tutto, anche in occorrenza di pandemie come quella che stiamo vivendo. C'è gente che ha fatto fortune inenarrabili. Se la vita fosse al centro si direbbe: «Noi remuneriamo l'investimento e compensiamo chi ha lavorato, come è giusto che sia, ma non vogliamo profitto". Non ho capito a cosa serve l'Europa, se non è in grado di mettere in piedi dei grandi laboratori no-profit. Lo dice Gino Strada in maniera chiarissima: "Non si può fare profitto sulla salute della gente". Gesù, quando cura gli storpi e i ciechi, non si fa mica pagare (ride, ndr)».
Cosa ha provato, personalmente, leggendo per la prima volta "Laudato sì"?
«Sono profondamente debitore a Papa Francesco di aver rimesso in piedi certe questioni, spiegando che questo è un sistema di morte. Le sue sono parole aperte e a bocca piena. Bisognerebbe ricordare anche a tanti ebrei che la peggiore delle idolatrie è quella della terra, e si chiama nazionalismo. Ci siamo affidati a significati di libertà, sempre strumentali e arbitrari, ma il senso delle fedi monoteiste è la fratellanza universale, l'accoglienza dell'altro da sé, il riconoscimento della sua dignità. Altrimenti sono solo chiacchiere».
Come possiamo noi, membri della società, trasformare le parole del Pontefice in fatti reali?
«Noi cittadini dovremmo sviluppare una coscienza profonda ed esprimerla a ogni opportunità che ci viene data. Il sistema è marcio: cosa ci serve andare a votare ogni quattro-cinque anni? Sul valore della democrazia diretta bisognerebbe fare una riflessione nuova e critica, pensando al modello svizzero. Tranne in rari casi i partiti sono diventati pure strutture auto-referenziali, hanno abbandonato i territori e promettono cose che non possono mantenere. Sono i potentati economico-finanziari che decidono come gira il mondo, non certo i governi».
Ha qualcosa da dire a chi ha incarichi di governo?
«C'è un problema di natura, mi permetta l'iperbole, antropologica: il livello della classe politica è infimo, salvo qualche eccezione. Sono sempre stato un militante del Partito comunista ma oramai, dopo tutte le derive che ci sono state, sono un cane sciolto. Che sostiene con tutte le sue forze alcune cause: la Palestina, i rom, i curdi, gli operai senza lavoro e quelli sfruttati come schiavi. Non ho una proposta, ma penso che per i governanti sia ora di mettersi allo studio di una radicale modifica del sistema attuale che crea sfruttamento, disperazione sociale e disoccupazione giovanile».
Come pensa che usciremo da questa pandemia? Saremo pronti ad accogliere queste istanze di cambiamento oppure ci daremo semplicemente alla pazza gioia, una volta liberi da restrizioni e regole?
«Io sono profondamente pessimista: non è stata imparata nessuna lezione. Altrimenti gran parte del Recovery Fund (il fondo Ue stanziato per sostenere gli Stati membri colpiti dalla pandemia, ndr) dovrebbe andare alla sanità e allo stato sociale. Non ho nessuna fiducia del modo in cui la società si è sviluppata e non mi piace niente di ciò che sta succedendo, a partire dalla definizione scellerata del termine che invita a non stare ammassati: "distanziamento sociale". Non lo si poteva chiamare "distanziamento precauzionale"? È un messaggio devastante».
Non c'è proprio nessuna speranza?
«Ci sono alcuni cittadini, ma sono quelli che già prima della pandemia avevano sensibilità culturale e intelligenza sociale. Altrimenti, vedo un gran numero di persone abbacinate dal consumismo e inebetite dai media mainstream, che generano angoscia così la gente sta attaccata alla televisione. I pubblicitari lo sanno benissimo. Sa qual è inoltre una grande malattia di questa società? Il narcisismo. Lo vedo in teatro: tutti vogliono essere attori. Allo stesso tempo c'è un istupidimento inquietante: non si parla più una lingua degna di questo nome».
Alla luce di tutto ciò, il reading su "Laudato sì" acquisisce forse il significato di un atto di resistenza intellettuale?
«Certo, nel modo più assoluto. Prendo le parole del Papa, alle quali unisco delle associazioni personali, dato che è un documento che chiede di cambiare direzione. Ha una tale autorevolezza e si rivolge a una platea così vasta così da avere, per me, un grande valore. Combatto con tutte le mie forze per i giovani: vado nelle scuole e non rifiuto mai una sola volta, anche se sono morto dalla stanchezza. Questo è il mio dovere, comunque siano le cose».
Lei è stato più volte ospite di Poestate: cosa la lega a questo festival?
«C'è un antico detto chassidico: "Il buon Dio ha creato l'uomo perché amava sentire raccontare storie". Credo che non ci sia niente di più salvifico e importante di una rassegna di questo genere, con persone che si radunano per ascoltare storie e idee. Sono molto felice e onorato di partecipare, poi io ho una grande simpatia per la Svizzera tutta e il Canton Ticino. Ci sono venuto tante volte: nella mia adolescenza era l'Eldorado, dove si andava per comprare cose prelibate, avere condizioni migliori e vedere del cinema che mai dai noi sarebbe arrivato».
L'appuntamento con Moni Ovadia e "Laudato sì" è per le 20 di giovedì 3 giugno.