Dalla collaborazione tra Kety Fusco e il pianista Lubomyr Melnyk è nata questa composizione.
L'arpista ticinese ci ha inoltre raccontato di quanto è dura non poter suonare dal vivo e cosa ha fatto per tenersi occupata.
BELLINZONA - S'intitola "Mantra" la più recente composizione di uno dei talenti più in vista della scena musicale ticinese: Kety Fusco. Dopo la pubblicazione del suo album d'esordio "Dazed", la giovane arpista è tornata a offrire al pubblico un nuovo lavoro, che la vede affiancata dal pianista e compositore di origine ucraina Lubomyr Melnyk.
Il brano è uscito martedì 23 febbraio su YouTube, con un videoclip firmato da Sebastiano Piattini. Abbiamo chiesto a Kety di parlarcene.
Quali sono le caratteristiche di questa composizione?
«È un mantra, una cascata infinita di note che inizia con il piano elettrico di Lubomyr Melnyk e finisce per fondersi con la mia arpa. La puoi ascoltare chiudendo gli occhi e lasciando che la tua mente immagini un viaggio infinito verso il cielo. Ho adorato lavorare con Lubomyr, perché mi ha fatto lavorare in modo molto istintivo, cosa che ultimamente avevo un po’ trascurato. Ho provato a suonare la mia arpa chiudendo gli occhi e lasciando che le mie dita mi guidassero nella composizione».
Come è nata la collaborazione con Lubomyr Melnyk?
«La nostra collaborazione è nata in un modo decisamente speciale: dopo l'uscita del mio album "Dazed" ho scritto ai musicisti che mi avevano maggiormente ispirato, ringraziandoli e facendogli sentire il mio lavoro. Lubomyr è stato uno dei primi ad avermi risposto, era davvero entusiasta di sentire la composizione che lui mi aveva ispirato: "Rubato". In un secondo momento mi ha scritto dicendomi che sarebbe stato davvero felice di comporre insieme un brano, il suo "Mantra n.4". Io ho accettato ed ho deciso anche di coinvolgere il produttore ticinese Aris Bassetti e il compositore milanese Pasquale Corrado, che insieme a me hanno dato forma alla composizione. Io mi sono anche occupata della produzione del brano».
Quanto hai riversato delle tue recenti esperienze pop in questa composizione?
«In realtà, per questa composizione ho cercato di lasciarmi andare senza metterci troppe influenze, volevo più che altro vivere il brano sotto pelle. Sentirlo, viverlo e poi riversare le vibrazioni sull’arpa e suonare senza pensare. Ho pensato che fosse il modo giusto di lavorare a questo brano. Lubomyr è conosciuto per le sue cascate di note che ti trasportano in paesaggi che nessuno sa che esistono e quindi non volevo metterci la testa, ma solo il cuore e la pancia e seguirlo in quest’avventura sonora fatta d'intrecci ed equilibrismi sonori».
Come vive un musicista questo limbo nel quale non si può suonare dal vivo, senza sapere quando ci sarà un via libera?
«Personalmente l'ho vissuto male. Ogni giorno che passava sentivo la mancanza di gratificazione, non riuscivo a fare niente per cui valesse la pena alzarsi dal letto la mattina. Avevo perso lo scopo di quello che sono: una musicista che vive della sua musica e che trova il culmine del suo lavoro davanti a un pubblico, su un palco. È come se all'improvviso avessi perso le gambe o le braccia. La cosa che piu mi tormenta è il non sapere quando finirà tutto questo, perché non posso pianificare niente. Certo, è vero che potrei cogliere questo momento per comporre, e in parte l'ho fatto. Ma, non so perché, la maggiore ispirazione mi viene sempre quando non ho tempo e quando ho la testa a mille; quando invece non ho niente da fare la mia vena creativa va in letargo. Ho cosi deciso di prendere in mano la situazione e fare comunque la mia parte: insieme ad amici abbiamo fondato il Floating Notes Festival, che avrà luogo quest'estate a San Bernardino. Grazie al mio festival ogni giorno ho sempre cose da fare e da organizzare».
È questo il tuo personale antidoto alla nostalgia della scena?
«Con me funziona tamponare una mancanza impegnandomi in progetti nuovi che non mi lasciano piu tempo di essere nostalgica. Come il Festival Floating Notes, appunto».