Da fine febbraio Jacobacci ha preso le redini del Monaco 1860: «Ne sono orgoglioso, c'è una mentalità che si sposa bene con le mie idee».
«Monaco di Baviera è una città che vive di calcio, al momento del mio arrivo tra i media e i tifosi c’è stata tantissima curiosità per capire chi fosse questo “personaggio”. La parentesi in Tunisia? Nessun rancore, è stata interessante e mi ha arricchito».
MONACO DI BAVIERA - Prima tanta Svizzera, poi Francia, Tunisia e Germania. Sono queste le ultime tappe nella carriera di Maurizio Jacobacci, che in febbraio aveva rispolverato dall’armadio il cappotto più pesante, si era lasciato alle spalle il clima mite del Nord Africa - dove ha guidato il CS Sfaxien per una parentesi di 8 incontri a partire da metà dicembre - accettando con entusiasmo un nuovo incarico. Quale? Quello al Monaco 1860, club storico che milita nella terza divisione tedesca e che, con un po' di sorpresa tra i media e i tifosi, ha puntato su un tecnico a loro “sconosciuto” per raccogliere l’eredità di Michael Köllner, esonerato.
Da lì sono passate ormai quattro settimane, durante le quali il mister ha lavorato sodo iniziando a raccogliere i primi frutti. «Il gruppo sta crescendo e lo sta facendo in maniera compatta, con un’identità - interviene l’ex Lugano - La prima partita, quella più importante, era da giocare e vincere fuori dal campo. La qualità non manca, ma si stava attraversando un momento complicato, altrimenti non sarei qua… La squadra doveva tornare a essere tale, coi giocatori pronti ad aiutarsi nei momenti difficili, mettendo da parte il proprio ego. Ho lavorato tanto sul mentale dei ragazzi. Per “sbloccarli”. Fatto questo si è potuto cominciare a lavorare meglio sui meccanismi e gli automatismi».
Dopo una sconfitta e due pareggi - il secondo contro la capolista - sabato è arrivata anche la prima vittoria. 3-1 in trasferta contro il lanciato Erzgebirge Aue.
«Ci sono stati dei bei segnali, che vanno al di là del singolo risultato. Col club, al momento della firma, non avevamo parlato di obiettivi fissando una posizione in classifica, ma piuttosto del percorso da fare insieme. Si voleva mostrare ai tifosi la volontà di non arrendersi e cambiare il trend. Adesso cercheremo conferme nei prossimi impegni».
Il lavoro sta iniziando a convincere anche i più scettici. A questo proposito, a livello mediatico come è stato accolto lo “straniero” Jacobacci?
«All’inizio è normale un po’ di scetticismo. Al momento del mio arrivo se n’è parlato tanto. Per loro è stata una grossa sorpresa. Non si aspettavano che il club prendesse qualcuno dall’estero. Pensavano piuttosto a un allenatore tedesco e blasonato. Poi c’è stata tanta curiosità per capire chi fosse questo “personaggio” e, alla conferenza di presentazione, c’erano moltissimi giornalisti. La prima impressione credo sia stata positiva e mi hanno “accettato”. Col passare dei giorni hanno potuto vedere anche come lavoro e che do l’anima per aiutare il club. Hanno visto che la squadra lotta e che prova a giocare a calcio. Non solo palla lunga e pedalare».
Oggi il Monaco 1860 sgomita ed è ottavo in terza divisione, ma la storia non si cancella.
«Esatto, siamo pur sempre a Monaco di Baviera dove il calcio è come una religione. Allo stadio vengono sempre in 15'000. C’è un pubblico importante che va anche oltre il Paese. È un club seguitissimo e la pressione è più alta rispetto ad altre realtà».
A 60 anni non hai esitato e hai preso di petto questa sfida. Allenare in Germania è un'idea che ti ha sempre affascinato?
«Sì e sono orgoglioso di questo incarico. Ho sempre seguito da vicino la Bundesliga e le categorie inferiori. La Germania è un paese di calcio con mentalità molto importanti, che si sposano bene con le mie idee. Le squadre tedesche non si arrendono mai. È una “regola” che insegnano ai ragazzi sin dalla scuola calcio. Trovano il modo di ribaltare i pronostici e tornare in partite che sembrano perse. Guardiamo anche cosa sono riusciti a vincere a livello di Nazionale. Poi è chiaro che le qualità e il bacino di giocatori fanno il resto…».
Torniamo un attimo sull'esperienza in Tunisia, iniziata a metà dicembre e finita prematuramente.
«È stata interessante e tutto sommato positiva, anche se da fuori può sembrare il contrario per l’esonero a 2 partite dalla fine della prima parte di stagione. Ho fatto un lavoro di costruzione. Ho giocato con tanti ragazzi tra i 17 e 21 anni. Pochi avevano esperienza, solo 4-5. Il club aveva avuto problemi finanziari e c’era l’interdizione della FIFA per i trasferimenti. Così abbiamo dovuto "promuovere" tanti ragazzi in prima squadra per completare la rosa. Ne ho fatti esordire parecchi e in 8 partite abbiamo comunque raccolto 9 punti (3 gol fatti e 4 subiti). Poi a gennaio avremmo dovuto poter effettuare trasferimenti, ma il via libera è slittato. A fine gennaio sono poi arrivati 8 giocatori nuovi, ma io non c’ero più. Nel mio periodo abbiamo comunque ottenuto punti importanti, che hanno permesso al club di agguantare i playoff anche grazie alla differenza reti, con tre squadre arrivate a pari punti».
Forse era destino che finisse così...
«A posteriori è stato un epilogo positivo, perché ne sono uscito arricchito e adesso sono a Monaco. Con la società non c'è nessun rancore, ci siamo lasciati bene».