In Ticino Jean Todt ha raccontato diversi aneddoti: «Schumi? Inizialmente non pensavamo di riuscire a convincerlo»
Il 78enne francese oggi è Inviato Speciale dell'ONU per la sicurezza stradale: «La strada è la cosa che rende più vulnerabile l'uomo. Dobbiamo fare qualcosa».
LUGANO - Per gli appassionati di motori (ma non solo) l'evento organizzato dall'USI di Lugano era decisamente imperdibile. Quello per cui vale la pena disdire qualsiasi altro appuntamento in agenda. Sì perché dal Ticino – ieri sera – è passato nientemeno che l'ex numero 1 della Ferrari e della Fia Jean Todt, in un incontro intitolato “Il motore del mio successo”.
Gran visionario e uomo in grado di vedere le cose prima degli altri, il 78enne francese – oggi Inviato Speciale dell'ONU per la sicurezza stradale – ha legato gran parte della sua vita al Cavallino di Maranello, dove ha cominciato a lavorare nel 1993. Tramite il suo instancabile impegno e le sue enormi conoscenze, Todt ha trasformato la Rossa da una Scuderia in difficoltà a una vera e propria forza dominante, capace di mettere in bacheca sei titoli costruttori (1999/2004), oltre che quello piloti vinto da Michael Schumacher ininterrottamente fra il 2000 e il 2004.
«All'epoca la Ferrari era in grande difficoltà. Per l'intero movimento è sempre importante che ci sia una Ferrari competitiva. Il fatto che la Rossa non girasse era un danno per la F1 e per Bernie Ecclestone (colui che gestiva i diritti commerciali del circus, ndr). Proprio lui aveva fatto il mio nome al Cavallino, che era a caccia di qualcuno che potesse aiutare a risollevarla. Ho incontrato i vertici della Scuderia, abbiamo discusso, anche se alcuni mi dicevano che non avrei resistito più di due anni... Un po' di ansia ce l'avevo e vi dirò che ancora oggi sono un tipo un po' ansioso... (ride, ndr) È stata dura, ma non abbiamo mai mollato. Abbiamo ricostruito qualcosa, riportando la passione attorno a questa fantastica azienda».
La locomotiva era Schumi o Jean Todt? «Michael ha sempre creduto nella Scuderia, non ha mai dato la colpa agli altri quando le cose non andavano. Abbiamo fatto squadra e questo ha fatto la differenza. Inizialmente non pensavamo di riuscire a convincerlo, ma dopo averne discusso con sua moglie Corinna ha accettato. Ed è stato bellissimo, per tutti...».
Chiusa la sua avventura a Maranello, nel 2009 Todt assume il ruolo di presidente della FIA. In questa nuova veste l'uomo lavora principalmente su due grossi pilastri: migliorare la sicurezza stradale da una parte e favorire l'innovazione dall'altra. Anche di fronte a queste grandi responsabilità, Todt non ha fallito la sua missione... «Volevo cominciare a fare qualcosa anche per gli altri. Trovo che le vittorie con una squadra siano a volte anche un pizzico egoiste. Ho quindi pensato che fosse giunto il momento di dare qualcosa all'intero mondo sportivo e non soltanto a un team. Ed è così che mi sono adoperato con la Fia».
Ma il metodo-Todt esiste davvero? «Spesso si parla di questo, ma l'importante è il lavoro di squadra... Il metodo-Todt è semplicemente lavorare sodo, tenendo i piedi per terra. Non sono parole di circostanza, non ci sono altri segreti. È davvero così. Certo, poi la scelta delle persone ha spesso fatto la differenza. Trovo importante, poi, che tutti possano godere di un po' di luce e che nessuno se la tenga tutta per sé. Avessi fatto così, avrei sbagliato tutto...».
Oggi Todt mira a promuovere la sicurezza stradale creando vie di comunicazione sicure, inclusive e sostenibili in tutto il mondo. L'obiettivo è quello di dimezzare il numero delle vittime sulle strade entro il 2030. Proprio a proposito di ciò, durante l'incontro Todt ha richiamato l’attenzione dei presenti sull’importanza di assumere comportamenti responsabili alla guida: «È una pandemia silenziosa per la quale dobbiamo fare qualcosa. La strada è la cosa che rende più vulnerabile l'uomo».
Siamo (quasi) arrivati alla fine, ma in tanti si saranno chiesti. Ma la passione per tutto questo quando e come è nata? «Mio papà era medico, era una persona molto altruista e molto generosa, si prendeva cura dei suoi pazienti. Io, invece, ero appassionato di automobilismo sportivo, sin da bambino. Ho cominciato quindi a fare il copilota, qualcosa di relativamente semplice. A 25 anni mi sono poi fissato un obiettivo: diventare il capo di qualcosa entro dieci anni... Cosi - proprio in extremis, ovvero a 35 anni - sono arrivato alla Peugeot, con cui è cominciato il mio percorso». Di enormi e indimenticabili successi, aggiungiamo noi...