Lo sfogo di Pietro, 67 anni, padre del 35enne ucciso a dicembre alla pensione La Santa di Viganello. L’appuntamento è per lunedì 20 gennaio alle otto di sera: «Basta violenza»
LUGANO – Si partirà alle otto di sera dalla chiesa di Santa Teresa di Viganello. In silenzio. Tutti con una candela in mano. Tutti uniti per ricordare Matteo, il 35enne ucciso lo scorso 17 dicembre presso la pensione La Santa, in Via Merlina, tappa finale della fiaccolata. Due persone sono finite in manette. Ma Matteo non c'è più. «Il senso di questa fiaccolata – sottolinea Pietro, 67 anni, papà di Matteo – è quello di fare riflettere la gente sulla violenza. Casi come questo non devono più accadere».
L’iniziativa, coordinata dalla consigliera comunale Sara Beretta Piccoli, e alla quale collaboreranno i City Angels, si svolgerà la sera di lunedì 20 gennaio.
«All’inizio ero un po’ scettico. Poi mi sono detto: se può servire a sensibilizzare qualcuno, ben venga. È tutto così difficile, duro».
È passato circa un mese da quella tragica sera. Come ha vissuto queste settimane?
«Malissimo. Sapevo che mio figlio aveva una vita un po’ disastrata. Ero cosciente che prima o poi potesse succedergli qualcosa. Avevo sempre quel timore di fondo. Soprattutto dopo che era stato piazzato in quella pensione, dove c’erano altre persone con problemi grossi».
Si fa in fretta a parlare di cattivi genitori. Lei ha sensi di colpa?
«Matteo era un buono. Ed era anche probabilmente il più sensibile dei miei tre figli. Tanto che a un certo punto ha preso una cattiva strada, ha iniziato a frequentare brutte compagnie. È una realtà che colpisce tante famiglie. Puoi essere il genitore più bravo del mondo, ma certe cose ti capitano. È chiaro che a casa nostra si è vissuto un divorzio. E questo può avere influito su Matteo, che aveva solo 17 anni quando sua mamma si è separata da me».
Dunque?
«Io sono un idealista. Già prima della separazione c’erano problemi in casa. Se la famiglia si sfascia, è difficile fare andare bene le cose. Noi genitori abbiamo una forte responsabilità in tal senso. È anche vero che gli altri miei due figli sono dei tesori, e sono cresciuti senza problemi. Matteo era un’anima fragile. E certe situazioni le ha vissute probabilmente in maniera più intensa».
Chi conosceva Matteo ne parla come di un ragazzo d’oro.
«Fondamentalmente era così. Ma aveva problemi esistenziali. Non aveva mai concluso una formazione, non aveva un lavoro. E soprattutto beveva. L’alcol l’ha portato davvero fuori strada. Abbiamo sempre cercato di sostenerlo».
Come?
«Mia madre, oggi 85enne, ha fatto tantissimo per lui. Volevamo portarlo in una comunità. Ma lui si rifiutava. Diceva che ce l’avrebbe fatta da solo. Forse avremmo dovuto insistere ancora di più. Io lo voglio dire ai genitori che hanno figli che bevono: dall’alcol non si esce da soli».
Due persone sono finite in manette. Cosa si aspetta?
«Giustizia. E sincerità. Uno ha dichiarato di avere solo assistito alla lite che ha portato alla morte di mio figlio. Ma come si fa? Come si fa ad assistere a una cosa del genere e a non fare niente? Sono dispiaciuto. Amareggiato. Mi faccio tante domande. Come è possibile che non ci fosse sorveglianza, in orario serale, in una palazzina del genere? Le autorità sapevano che tipo di persone ci fossero lì dentro. Ragazzi con problemi di droga, di alcol. Persone che non dovevano essere lasciate sole».