Si muove anche l’Organizzazione per il lavoro in Ticino (TiSin), che chiede di parlare con la direzione generale
Nel frattempo i dipendenti rimasti devono accettare l'aumento della settimana lavorativa da 41 a 42 ore senza adeguamento salariale.
SANT’ANTONINO - «Questo puzza di ricatto». Così, a fine agosto, aveva descritto il sindacato OCST la decisione di Manor di aumentare la settimana lavorativa da 41 a 42 ore senza adeguamento salariale, proprio nel momento in cui aveva annunciato molti licenziamenti. Venerdì 9 ottobre i dipendenti hanno ricevuto una lettera ufficiale. Stando a quanto appreso da Tio.ch, l’azienda li informa della modifica contrattuale, allegando un tagliando da firmare e ritornare entro martedì 20.
Per chi non accetta le nuove condizioni - che in molti casi si traducono anche in una riduzione della percentuale lavorativa e nel cambio di funzione -, il contratto viene sciolto con effetto al 1. febbraio 2021.
Manor - lo ricordiamo - a metà agosto ha annunciato il taglio di 385 posti di lavoro nei suoi grandi magazzini svizzeri. In Ticino si è parlato di circa sedici posti. Tra le filiali più colpite quella di Sant’Antonino: 13 collaboratori licenziati su 72. Che vanno a sommarsi ai 32 licenziamenti «operati in modo chirurgico» tra settembre 2019 e marzo 2020 nelle otto sedi ticinesi.
E proprio oggi l’Organizzazione per il lavoro in Ticino (TiSin) ha deciso di prendere posizione nei confronti dei “processi di ristrutturazione” in atto da Manor. E ha chiesto un incontro alla direzione centrale. In particolare, TiSin punta il dito contro «il cambiamento peggiorativo delle regole contrattuali». Si va dai licenziamenti intimati a fasi alterne a personale svizzero e domiciliato, alla riduzione drastica dei contratti a tempo pieno, fino al conseguente aumento dei contratti precari a ore e su chiamata. «Pressoché inaccettabili per la manodopera locale, che deve far fronte al costo della vita vigente nel cantone». Qualora Manor non dovesse accettare l’incontro, «non mancherà di intraprendere azioni sindacali concrete».
TiSin intende (in generale) opporsi a «politiche aziendali inique caratterizzate da nuove forme di dumping sociale tese all’esclusione dai contratti collettivi interaziendali della manodopera locale o con permesso valido da anni in Ticino, per sostituirla con altra (spesso di provenienza estera) assunta con contratti precari al ribasso, a ore e su chiamata».