Interrogazione del Partito comunista al Consiglio di Stato per quanto riguarda, in particolare, il materiale d’ufficio
BELLINZONA - Computer, telefono, stampante, Internet. Anche lavorare da casa - a causa della pandemia - ha i suoi costi. Che, secondo il Partito comunista, dovrebbero essere a carico del datore di lavoro. A comprova di questo, Massimiliano Ay e Lea Ferrari portano una sentenza del Tribunale federale (4A_533/2018) in cui si riconosce che l’infrastruttura per il lavoro da casa è soggetta a rimborso.
Con un’interrogazione, quindi, viene chiesto al Consiglio di Stato se possa garantire di «corrispondere ai propri dipendenti i costi per l’affitto di un locale adibito a stanza da lavoro al domicilio, la connettività internet, la rete telefonica, l’energie elettrica ed altre spese eventuali rese necessarie dall'esecuzione del lavoro (ad esempio la cartuccia d’inchiostro per la stampante)». Come pure la «fornitura a titolo gratuito degli apparecchi informatici e telefonici».
Infine, Ay e Ferrari domandano al Governo ticinese di «far luce sull’applicazione di questo principio (infrastruttura necessaria all’esercizio della professione da casa soggetta a rimborso) nell’ambito del telelavoro».