Don Azzolino Chiappini rompe il silenzio, a qualche giorno dal decreto di abbandono per "sequestro di persona"
«Ho subito due perquisizioni corporali, mi sono sentito trattare come "una cosa". Ma in coscienza ero tranquillo».
LUGANO - Sequestro di persona, coazione e lesioni semplici per condotta omissiva a danno di una 48enne finlandese dimorante da anni nella sua abitazione. Erano queste le ipotesi di reato formulate lo scorso 21 novembre nei confronti di don Azzolino Chiappini. L'ex rettore della Facoltà di teologia di Lugano aveva passato tre giorni in prigione e poi era rimasto indagato a piede libero, fino al decreto di abbandono emesso la scorsa settimana dal Ministero pubblico, non essendosi corroborati gli indizi dei reati ipotizzati. Da allora il sacerdote è rimasto in silenzio. Fino a oggi.
«Sto bene, dopo che la causa è stata chiusa in mio favore. Uno a 80 anni pensa di aver fatto tutte le esperienze e poi finisce in carcere per tre giorni - ha dichiarato al giornalista di Rete Uno Roberto Antonini, nella trasmissione "Millevoci" -. Sono stati momenti difficili e pesanti, anche per le chiacchiere e quello che è stato pubblicato sui giornali. Ma nello stesso tempo ero tranquillo in coscienza».
Il sacerdote ripercorre quelle difficili ore in cui si è visto travolgere da una situazione più grande di lui. «Il 20 novembre alle 8.15 arrivo a casa, entro nel mio appartamento e sento dei rumori. Esco e ci sono 4-5 poliziotti che mi intimano di aprire con minacce. Io reagisco e mi dicono "se non tace, le mettiamo le manette". Seguono delle domande e poi mi dicono "ora ci segue"». In polizia l'interrogatorio è proseguito per tutto il giorno. «Sono rimasto in carcere tre giorni e tre notti - continua l'80enne -. Non avevo nulla con me e mi sono ritrovato alla Farera. La cosa che mi ha pesato terribilmente è il trasporto nel furgone fino al Palazzo di Giustizia. Non si vede niente fuori e lì capisci che nella vita può capitare qualsiasi cosa, senza che lo prevedi. Un'altra sensazione mai provata prima è il "sentirsi una cosa". Dal momento dell'arresto, fino all'uscita, sei controllato continuamente e spostato come un pacco. Subisci un esame corporale in polizia, poi un secondo in prigione. Ti devi spogliare».
Don Chiappini si dice sereno ora. Ma con voce emozionata ammette: «Quando ci penso, fa male». In particolare, per quanto riguarda «dicerie e cose scritte sui giornali». Il sacerdote non sa chi l'abbia denunciato. Ma oggi decide di fare chiarezza: «La donna finlandese abitava con me da una ventina d'anni. Aveva cominciato come collaboratrice e faceva un po' di lavori domestici. Aveva qualche difficoltà a uscire e negli ultimi anni non voleva nemmeno lasciare entrare nessuno in casa». È stato questo, forse, a far sorgere dubbi all'esterno. «Quando c'era qualche lavoro da fare nella casa io dicevo "non si può" - aggiunge -. Questo può aver fatto dedurre che c'era qualcuno in casa che non parlava e quindi era sequestrata. Ma la signora andava dal medico, ogni tanto uscivamo a pranzo. C'è stato un errore sicuramente nel non avere più rinnovato il permesso di soggiorno. Ma io continuavo a pagare le imposte alla fonte. Chi abitava attorno a me sapeva che c'era questa persona, anche la Curia».
Don Azzolino Chiappini si domanda, però, come mai la signora che viveva con lui non sia stata sentita prima. «Forse avrebbero potuto interrogarla prima di arrestarmi. Lei (poi) ha detto chiaramente che era libera, che non era prigioniera. Se stava in casa era una sua scelta».
Si parla comunque di un sacerdote che vive con una donna. C'era una relazione tra i due? «I rapporti sono sempre complicati da descrivere - risponde lui -. Vivendo così tanti anni insieme un rapporto di affettuosità senz'altro si è creato. Chi ci vuole ricamare sopra lo può fare. Ma si parla di amicizia e affetto, non oltre».
Don Chiappini ha nel frattempo ritenuto di dover rinunciare a tutti gli incarichi finora ricoperti in Diocesi, compreso l'insegnamento presso la Facoltà di teologia di Lugano. Anche se a malincuore. «A me sarebbe piaciuto continuare a insegnare - ammette -. Avevo previsto di terminare a breve. Questo sarebbe stato l'ultimo semestre della mia vita, a 81 anni. Mi sarebbe piaciuto rinunciare all'insegnamento in quel momento e non così. Mi rincresce».
Il sacerdote, però, ha sentito l'affetto e la vicinanza di molti. «Mi hanno dato coraggio». Cosa succederà ora? «Spero di ritornare a vivere in una maniera un po' diversa e occuparmi di cose interessanti che prima non ho potuto approfondire - conclude -. Vedo il futuro, che non sarà lunghissimo a 81 anni, ma penso di poterlo vivere bene».
C'è stata proporzionalità?
Nel programma radiofonico è intervenuto anche il procuratore generale del Canton Ticino, Andrea Pagani, sollecitato sulla domanda se la carcerazione preventiva fosse stata effettivamente necessaria e proporzionata. «Non si può rispondere come se stessimo parlando di matematica. Ma parto dal dire che non ci sono imputati di seria A e di serie B - ha detto -. Se un inquirente scopre una fattispecie ("notizia di reato") non può scegliere se agire o meno, deve farlo. Il compito demandatoci è di ricostruire i fatti per arrivare alla “verità materiale”, attraverso la raccolta di prove, da verificare. Le prove soggettive, come la testimonianza di una persona, possono anche essere non attendibili (in linea generale e non facendo riferimento al caso). E vanno verificate. A volte questo implica l’arresto di una persona».
E se è vero che non è piacevole subire, a 80 anni, delle perquisizioni corporali, Pagani fa pure notare che «sono la polizia e le guardie del penitenziario che agiscono alla luce della sicurezza dell’imputato (affinché non proceda ad atti autoaggressivi e non abbia con sé qualcosa che ferisca terzi). La polizia agisce in modo autonomo agendo sulla scorta della Legge della polizia. Vige il principio della sicurezza e non è il Ministero pubblico a decidere». Con la carcerazione preventiva, è bene ricordare, non si accerta una responsabilità penale dell’imputato. Quella la determinerà il magistrato alla fine dell’inchiesta o un tribunale. «La carcerazione preventiva è uno strumento per permettere di raggiungere la verità. Vi è la possibilità che l’imputato la subisca, ma che a inchiesta terminata venga scagionato per un decreto di abbandono o il proscioglimento da parte del tribunale».
Il procuratore generale, poi, ha fornito dei numeri: «Nel 2020 sono entrati 11’489 nuovi procedimenti penali e il Ministero pubblico ha emesso 5’823 decreti d’abbandono e non luogo a procedere». Per quasi la metà dei casi, è lo stesso Ministero pubblico a decidere. «Per carità, l’autocritica interna la facciamo costantemente - ha concluso -. Non sta però al Ministero pubblico chiedere scusa perché è stata applicata la procedura».