A 310 km orari a Bellinzona. E i trucchi per rendere illeggibili le targhe. L'esperto: «Una piaga che continua».
LUGANO - Per molti quel brivido di sfrecciare a velocità pazzesche in autostrada è qualcosa che difficilmente si riesce a contenere. Nemmeno multe e ritiri di patenti riescono a calmarti. Ieri il 19enne “pizzicato” mentre sfrecciava a 187 chilometri orari sulla A12 in territorio di Flamatt, nel canton Friburgo, era recidivo. Era già stato beccato un anno fa a 206 km/orari. Recidivo era pure il lucernese condannato a 3 anni di carcere per aver guidato a 262 km/h. Perfino un capo della polizia non è riuscito a contenere la passione per la velocità e lo ha fatto più volte.
Una sensazione che conosce molto bene un motociclista del Luganese, che per ovvie ragioni di privacy chiameremo Mario, e che ha deciso di raccontare la sua vita veloce a bordo di due ruote. Storie che ormai appartengono a una passato lontano. «La velocità l’ho sempre percepita come qualcosa di positivo, e questa percezione non è mai cambiata. Perché metterci quattro ore e mezza, se ce ne posso mettere tre, mi sono detto fin verso ai 40 anni. Poi le cose sono cambiate».
Come mai, cosa è successo?
«Oggi non si può più correre, non tanto per paura dei radar, quanto per il traffico. Un paio di mesi fa ho attraversato il Vallese, in colonna a 80 km/h, magari anche meno. Fino alla metà degli anni ’90 quei rettilinei li facevo raggiungendo punte di 240 km/h. Una volta andai da Sierre a Ginevra in un’ora e un quarto. Anche sul Pont du Mont Blanc a Ginevra si andava veloci, magari su una ruota sola. Ma è sulla route suisse, a Henniez, che mi son preso un colpo quando ho intravisto un radar. Eravamo nell’80 e io ero oltre i 260. Per fortuna quel radar non era carico. Erano altri tempi e i mezzi tecnologici erano limitatissimi. Il “radar" non conteneva l’apparecchiatura necessaria a misurare la velocità o aveva esaurito la pellicola fotografica».
Qual è stata la velocità massima che hai raggiunto?
«310 km/h sul limite di 120km/h a Bellinzona in autostrada. Anche a Morges andavo forte quando ho intravisto qualcosa in mezzo alla strada. Era un poliziotto che mi ha poi fermato per chiedermi a quanto stessi andando. Per mia fortuna, non so per quale motivo, non potevano provare che andassi a più di 120».
Mai finito per essere beccato?
«Due volte. Una volta negli anni ’90 a 170km/h su 120. Un mese di patente e 800 franchi di multa. Un'altra a 75km/h su un limite di 50km/h. La sanzione è stata più o meno lo stessa di 20 anni prima, quando ancora non c’era il regime di via sicura».
In quanti radar sei incappato?
«Non tantissimi, una decina in 40 anni».
C’è stato un momento in cui hai avuto paura e ti sei detto questa volta non la passo liscia?
«Una volta nel canton Berna. Andavo piuttosto veloce e a un certo punto ho visto la polizia negli specchietti. Va precisato che allora la polizia non disponeva di apparecchiature sofisticate. Non c’erano telecamere dappertutto e bastava spruzzare la targa con la lacca per i capelli, in questo modo la luce del flash, riflettendosi sul bianco della targa, l’avrebbe resa illeggibile. Molti montavano le targhe sui ganci che si utilizzano per le targhe trasferibili e agganciavano solo la parte superiore o quella inferiore, ma non tutt’e due come invece si dovrebbe fare. In questo modo vibravano violentemente e risultavano difficilmente leggibili. Credo che sia quell’accorgimento lì che mi ha salvato quella volta. L’auto della polizia era a più di 200 metri e non potevano aver letto la targa. Almeno così speravo. Ho quindi accelerato, ho preso la prima uscita e mi sono imboscato nella natura».
Correre oltre i limiti è un rischio anche per la propria vita, oltre che per quella degli altri.
«Durante il lockdown ho provato a spingere la moto che utilizzo ora. E’ una naked e io non ho più la forza che avevo da giovane. A 235 km/h ho mollato. Sbatteva troppo. In quarant’anni ho fatto solo due incidenti, e sempre per colpa degli altri».
L'esperto: «I genitori hanno delle responsabilità»
«È una piaga che continua a esserci – sottolinea Alvaro Franchini, ex aiutante capo della polizia stradale ticinese e oggi titolare di una scuola guida –. Il mito di James Dean non è mai tramontato. Se sfidi i tuoi limiti, ti senti quasi immortale di fronte al gruppo. Nella nostra società quello che fa la differenza è il controllo. Il modello educativo. I genitori che si preoccupano per il comportamento dei figli rappresentano un deterrente. Mamme e papà hanno delle responsabilità. Se so che mio figlio ha quel vizietto, non posso chiudere un occhio. Anche gli amici possono avere un ruolo decisivo. La vita non è un flipper. Se ti va male, sei finito. Non è un mistero che ancora adesso nelle zone periferiche si facciano bravate del genere. E a volte ci scappa il morto o il ferito grave. Magari prima si fa un giro di ricognizione per vedere se c'è un posto di blocco della polizia o un radar. Purtroppo le autorità non possono arrivare dappertutto. Anche se fortunatamente i casi davvero gravi sono diventati più sporadici. Nel corso degli anni sono aumentate sia la prevenzione sia la sensibilizzazione».