Cartelli di località a testa in giù e una petizione online, il vento di protesta degli agricoltori soffia anche in Ticino.
AIROLO - Ieri i cartelli, oggi una petizione. Tra la popolazione agricola ticinese si sta rapidamente diffondendo un senso di appartenenza alle proteste scoppiate una quindicina di giorni fa in Francia e che nel corso di questo ultimo weekend stavano volgendo al termine. La raccolta firme è stata avviata dall'Unione Svizzera dei Contadini che rivendica, in particolare, un «riconoscimento del lavoro svolto e degli sforzi compiuti».
In tre giorni sono state raccolte oltre 700 firme. Adesioni che si schierano perché «in Svizzera il reddito di molte famiglie contadine è inadeguato, insufficiente e addirittura precario. Oltre a un maggior apprezzamento dei compiti dell’agricoltura, sono quindi necessarie misure sia a livello politico che a livello di mercato».
Come si era potuto vedere già nella mattinata di sabato a Ginevra, dove una trentina di agricoltori e agricoltrici sono scesi in piazza a protestare sulla disparità delle entrate tra le aziende produttrici e quelle di vendita al dettaglio, i ticinesi chiedono un aumento dei prezzi di produzione del 5-10%. «Inoltre, è imperativo invertire la metodologia di definizione dei prezzi, che devono essere fissati in base ai costi di produzione e ai rischi assunti per garantire alle famiglie contadine un reddito equo e adeguato. Questo è l’unico modo per garantire un’agricoltura sostenibile e resiliente».
Tranquilli, ma non va tutto bene - Per approfondire al meglio la situazione ci siamo rivolti a Omar Pedrini, presidente dell'Unione contadini ticinesi (Uct). «Se siamo tranquilli, non è perché va tutto bene. È perché forse abbiamo un sistema che ci permette di intervenire in altre forme rispetto allo scendere in piazza e bloccare un intero Paese. Al momento a livello politico riusciamo ancora a difenderci anche se non come vorremmo».
Ed è proprio ai rappresentati della politica che Pedrini desidera rivolgersi: «È importante che si tenga conto di quanto sta succedendo in Europa nelle riflessioni delle prossime politiche agricole. Perché è quello che noi contestavamo 20-30 anni fa. Questa è la dimostrazione che noi, rispetto ai più, a livello di regole sulle emissioni e sull'utilizzo dei fitosanitari siamo già più avanti. Ma il malcontento resta. Perché negli ultimi anni abbiamo avuto un esponenziale aumento dei costi di produzione che non ha avuto alcun ritorno sui prezzi pagati al produttore».
Di quale scarto stiamo parlando è difficile dirlo, anche se qualche ricerca a riguardo esiste. Quasi due anni fa, per esempio, LeTemps e HeidiNews avevano pubblicato dei dati rubati e pubblicati sul darknet alla grande distribuzione svizzera. Questi riguardavano il settore latteo-caseario e si parlava di margini medi del 57%. Quello che il presidente dell'Uct tiene a precisare, però, è che «noi non contestiamo per forza queste differenze elevate. Ci limitiamo a dire che il nostro prezzo è troppo basso e che il consumatore a volte si trova di fronte a dei prezzi alti che non giustificano un prezzo basso al produttore».
E rivendica una necessità di comprendere come e dove vengono stabiliti questi margini. «Perché ci sono chiaramente tutta una serie di attori nella trafila della lavorazione delle materie prime: dal produttore a chi fa la lavorazione, a chi poi si occupa della vendita. Un po' più di chiarezza in questo senso ci vorrebbe senz’altro».
Come in Francia, anche in Ticino viene poi sollevata la questione delle importazioni: «Sicuramente tutto quello che entra dall'estero a prezzi più bassi e a condizioni di produzione differenti dalle nostre, crea concorrenza sleale. In più aggiungiamo che nelle regioni di frontiera della Svizzera siamo confrontati con un forte turismo degli acquisti. Non aiuta il settore agroalimentare, certo, ma io credo che la causa di tutto questo vada cercata a monte, con tutta una serie di difficoltà che anche il consumatore in questo momento sta vivendo e far quadrare il tutto non è sicuramente facile».
Il problema sta nel reddito - C'è chi afferma che le rivendicazioni portate avanti dalla popolazione agricola non siano giustificate, in ragione dei sostegni forniti dalla Confederazione. Ne parliamo con Marco Togni proprietario dell'omonima azienda agricola di Nante, dove anche è stato messo a testa in giù un cartello: «La Berna federale ci aiuta molto con contributi agricoli, sia per quanto riguarda la biodiversità sia nella protezione degli animali. Riceviamo anche dei sussidi nella costruzione delle stalle e anche delle serre. Ma il disagio economico resta sempre».
Il motivo, ci spiega, è secondo lui un costo della vita «quasi doppio rispetto a quello del resto dell'Europa». E la problematica in questo senso è principalmente il reddito. «La grande distribuzione deve farsi i suoi margini, perché bisogna pagare gli operai e confrontarsi con dei costi di produzione più elevati che all'estero. Il problema è che chi ci va di mezzo è sempre l'ultimo gradino della scala». E, anche lui, rimarca la facilità del turismo degli acquisti: «Il consumatore va volentieri all'estero e questo vale in qualsiasi settore».
Non avere un reddito sufficiente a garantire sempre la propria produzione, senza dover costantemente cercare di tagliare i costi, la si ha in Ticino nonostante sia una regione che può permettersi in alcuni settori di avere dei prezzi superiori al resto della Svizzera, come nel caso del formaggio d'alpe. «Ma questo non ci permette di sentirci salvati dai prezzi maggiorati. Noi per esempio essendo in montagna abbiamo dei prezzi di produzione superiori di quelli in pianura. Gestire 30-40 ettari in montagna non ha costi tanto diversi rispetto a quelli che servono a far funzionare un'azienda agricola di 200 ettari in piano».
Resta poi l'amaro in bocca per il lupo e l'orso. «È difficile risolverla. C'è chi tira da una parte, chi dall'altra e la corda non sempre si spezza. E comunque di solito la soluzione non va a beneficio del settore primario».
Una mobilitazione anche in Ticino? - Né Pedrini, né Togni escludono che anche alle nostre latitudini, come nel corso del weekend a Ginevra e Basilea, si arrivi a una vera e propria mobilitazione.
Il presidente dell'Uct afferma l'associazione non intende spingere in questo senso, ma tiene a sottolineare che i produttori hanno «facoltà e libertà di scelta per agire come credono. Se io penso ai colleghi della fascia di confine che vedono molti ticinesi varcarlo per la spesa, posso immaginarmi che decidano di fare qualcosa. E, se questo avverrà, sarà con la solidarietà di tutto il resto del cantone. L'importante è che il tutto si svolga nella tranquillità e senza violenza».
E anche il leventinese afferma che la possibilità di arrivare a mobilitarsi è concreta: «I malumori ci sono e i problemi vengono sollevati da anni».