Ecco i medici di casa nostra che hanno ridato speranza a 130 persone nel villaggio di Ayomé.
LUGANO - «Abbiamo dato il massimo, operavamo non-stop dalle 9 del mattino alle 11 di sera». A dirlo a Tio/20Minuti è il dottor Francesco Marbach, uno dei tre chirurghi ticinesi che tra il 23 febbraio e il 2 marzo hanno preso parte a una missione umanitaria nel villaggio di Ayomé, in Togo, operando ben 130 persone bisognose di cure.
Un viaggio solidale, questo, che ha visto impegnati, oltre a Marbach, chirurgo ortopedico e traumatologo presso l’Ars medica di Gravesano, anche il dottor Dimitrios Christoforidis, viceprimario di chirurgia all’Ospedale Civico di Lugano, e il dottor Martino Meoli, chirurgo plastico e ricostruttivo con sede a Lugano, Ascona, Grono e Lucerna.
«Con l’associazione Aiuto Ayomé Africa di Morbio Inferiore organizziamo missioni come questa a cadenza semestrale», spiega il dottor Marbach. E tutto nasce dall’idea di un togolese trapiantato in Ticino: «L'associazione è stata fondata da Don Valentino Tafou, prete della parrocchia di Viganello e originario proprio di Ayomé».
«Non hanno i soldi per operarsi» - Ma parliamo del lavoro sul campo. «Ad Ayomé ho trattato soprattutto fratture vecchie di anni e mai curate, sfociate in pseudoartrosi e deformazioni», racconta il chirurgo. «Purtroppo il problema è che quando queste persone si fanno male, spesso non hanno i soldi per farsi operare, e si rivolgono al guaritore del villaggio. Quest’ultimo, però, non solo non risolve nulla, ma spesso peggiora la situazione».
Un esempio emblematico è quello di un bambino di otto anni visitato da Marbach lo scorso anno: «Si è fratturato il gomito quando aveva solo quattro anni. I genitori l’hanno quindi portato da un guaritore, che gli ha versato dell’acqua bollente sul gomito, per poi mettergli un gesso. La cute però si è necrotizzata con un’ustione di terzo grado e il bambino, ad anni di distanza, soffriva di dolori atroci e aveva il gomito rigido e cosparso di cicatrici abnormi». Un caso drammatico e complesso, insomma, che non ha però scoraggiato il dottore. «L’intervento è durato sei ore, ma sono riuscito a ridargli una mobilità accettabile. I dolori inoltre sono praticamente scomparsi».
Complicazioni fatali - Ci sono poi pazienti che dopo un infortunio riescono a racimolare i soldi per operarsi, ma può succedere che vi siano delle complicanze. «Si ritrovano magari con un’infezione e parte dell’osso operato esposto all’aria e, non avendo i mezzi finanziari per ulteriori cure, si limitano a coprire la zona con un panno», spiega il dottor Marbach. «Una signora che si era sottoposta a un intervento per una frattura alla tibia, ad esempio, è venuta da noi in ospedale con un’infezione che si era ormai propagata fino al piede: aveva già perso alcune dita e soffriva molto. Io le ho detto che l’unica possibilità per salvarle la vita era l’amputazione, ma purtroppo nella loro religione la menomazione corporale non è accettata. Ha quindi rifiutato l’intervento e, dato che l'infezione va a propagarsi in tutto il corpo, probabilmente morirà per setticemia».
«In tantissimi ad aspettarci» - Per il dottor Meoli, invece, quella appena terminata è stata la prima missione ad Ayomé. «L’anno scorso ho letto un articolo in cui si diceva che l’associazione era in cerca di fondi perché un uragano aveva distrutto il tetto dell’ospedale, così ho deciso di prendere contatto per capire se potevo offrire il mio aiuto a livello chirurgico», racconta. E quell’offerta, in effetti, è stata accolta a braccia aperte.
«Fin da subito mi ha colpito il fatto che, sapendo del nostro arrivo, tantissime persone si sono presentate fuori dall’ospedale e hanno aspettato il loro turno per giorni», ci dice. «C’era infatti chi veniva da lontano, alcuni persino dagli Stati confinanti di Ghana e Benin».
Bimbi gravemente ustionati - Ad aver maggiormente occupato il chirurgo plastico, durante questa settimana, sono state ustioni e tumori cutanei. «Ho operato un bambino di soli tre anni che a causa di una grave ustione e delle conseguenti contratture cicatriziali aveva due dita attaccate al palmo», spiega Meoli. «Sono intervenuto anche su una ragazzina di 13 anni che aveva il collo, il petto e l’addome completamente ustionati. Era una cicatrice unica, non riusciva a muovere il collo e la sua mandibola si era deformata».
E di fronte a casi così tragici le emozioni, inevitabilmente, si fanno forti. «È molto toccante vedere bambini che a causa di infortuni o di operazioni andate male soffrono e non riescono a svilupparsi come dovrebbero», conclude.