Elly Schlein, svizzera e italiana, candidata alle elezioni europee con il PD : "Il Ticino mi ha dato tanto, torno a casa ogni tre settimane e si sta benissimo, ma soffro quando si fanno scelte politiche che non condivido"
LUGANO - Alle prossime elezioni europee tra i candidati italiani ci sarà anche l’italo-svizzera Elly Schlein, classe 1985, laureata in Giurisprudenza a Bologna e aspirante regista. Balzata alle cronache per essere una delle maggiori animatrici di OccupyPd, un movimento di protesta spontanea nato all’interno del Partito Democratico per rinnovarlo, Elly è nata a Lugano da madre italiana italiano e padre americano. Naturalizzata svizzera, ha frequentato le scuole elementari di Agno, dove vivono i genitori, ha poi frequentato il Liceo di Lugano e, dopo la maturità nel 2004, si è trasferita a Bologna per l’Università. In Ticino ha tutti gli amici, è molto legata a Lugano e ogni due o tre settimane torna a casa dai suoi. Qualche giorno fa la notizia annunciata su Twitter: “Beh ragazzi, è ufficiale. Sono candidata PD alle elezioni per il Parlamento Europeo, circoscrizione Nord-Est. Non si sono fermati nemmeno davanti alle mie obiezioni ‘non ho una lira e ho un cognome impossibile” E poi lancia l’hashtag per le elezioni #iososcrivereSCHLEIN.
Abbiamo contattato Elly Schlein, cercando di capire alcune cose su di lei.
Come mai hai scelto la politica italiana e non quella svizzera?
“In una battuta, forse perché in questo momento ce n’è più bisogno. Frequentando l’Università a Bologna, ho sentito il bisogno di contribuire in qualche modo a ciò che si muoveva intorno a me. Ho fatto tanta politica all’Università e da lì ha preso origine l’impegno anche su altri fronti, dall’immigrazione al carcere, con un’associazione che si chiama Progré. Poi una cosa tira l’altra e da lì sono finita in questa grossa battaglia politica, grazie all’incontro con Pippo Civati e altre persone che stavano concretizzando un progetto politico di rinnovamento all’interno del PD. Potendo votare da poco in Svizzera, alla politica ticinese mi sono avvicinata soprattutto negli ultimi anni. Senz’altro adesso mi interesso della politica svizzera e torno sempre volentieri per votare nella mia scuola elementare ad Agno”.
Cosa pensi della votazione sull’immigrazione di massa del 9 febbraio?
“Nella mia tesi di laurea sulla criminalizzazione e la sovra rappresentazione dei migranti nelle carceri è venuto fuori che il fenomeno, che non è solo svizzero o italiano ma europeo, non è dovuto a una maggiore tendenza al crimine da parte degli stranieri, ma dipende dal loro livello di integrazione e dalla difficoltà di accesso regolare nello Stato ospitante. Insomma, i problemi sono più complessi di quelli che sembrano. Per quanto mi riguarda, non vedo positivamente il dato emerso dalla votazione del 9 febbraio e in particolare il risultato del Ticino. Secondo me, però, non è questione di razzismo, ci sarà anche una parte xenofoba, ma il voto nasce da un momento di difficoltà. Stiamo vivendo una delle maggiori crisi mondiali degli ultimi secoli, e seppure in maniera minore anche la Svizzera avverte la crisi, per cui nei momenti di difficoltà, in ogni Paese c’è la tendenza a chiudersi e a vedere nello straniero uno dei capri espiatori dei mali della società. Questo vale anche per l’Italia. Anche qui nonostante ci siano stati milioni di emigranti, la reazione è la stessa. Sta a noi nel 2014 cercare di rendere il processo di emigrazione il più possibile fluido e meno conflittuale, gestirlo con intelligenza e lungimiranza. E’ facile dire ‘pensiamo prima agli svizzeri, oppure pensiamo prima agli italiani’, ma la risposta è più complicata. Bisogna rimettere in discussione il sistema di mercato produttivo che ha avuto delle falle enormi. Vedere nello straniero la causa di tutti i mali è una lettura semplicistica”.
Tu in qualità di videomaker hai realizzato anche un documentario sul segreto bancario.
“Si, era il periodo in cui c’era stato un grande dibattito sull’accordo Rubik, poi naufragato per la decisione presa dalla Germania. Il piano del discorso adesso mi sembra si sia molto spostato sullo scambio automatico delle informazioni stabilito dall’Ocse. Mi sembra giustamente che ci sia anche stato un cambio di prospettiva del settore bancario ticinese che inizialmente aveva provato a mettere in dubbio la validità di questi accordi, almeno parzialmente. Io credo che sia un tema molto serio. La Svizzera ha moltissimo da offrire in termini di servizi bancari, senza portarsi addosso questa macchia di paradiso fiscale. Credo ci sia una lunghissima tradizione di grandi competenze che devono essere valorizzate e non svilite. Per quanto riguarda i rapporti con l’Italia penso che la Svizzera debba essere cancellata dalla lista nera e questo è sul banco delle trattative. L’Italia ovviamente ha anche un interesse nel recuperare i fondi nascosti, perché si tratta di un patrimonio inestimabile”.
Cosa ti ha dato il Ticino, di positivo o negativo?
“Vedendolo da qui è difficile dire cosa mi ha dato di negativo. A casa si sta benissimo. Forse uscendo per un breve periodo s’incontrano mondi diversi dal nostro e l’invito è quello di dare uno sguardo a quello che c’è fuori. Io questa esperienza l’ho fatta nel mio piccolo a Bologna. Pochi chilometri e c’è già un impatto diverso. Forse in Ticino si cresce fin troppo bene, protetti da una cupola che ci fa vedere un mondo dove ci sono meno difficoltà rispetto a paesi vicini come l’Italia. Di positivo mi ha dato tanto, una città che amo molto come Lugano, un’ottima istruzione. Certo poi soffro perché in Svizzera si fanno scelte politiche che io non condivido affatto, per cui spesso lì mi trovo in minoranza nel contesto delle consultazioni elettorali”.
C’è integrazione a Lugano
“Non vivo da alcuni anni in Ticino e quindi non posso dirlo. Quello che posso dirti è che negli anni ‘90 ho fatto le scuole in Svizzera, tanti ragazzi venivano dai paesi balcanici. Sicuramente all’inizio per loro non stato è semplice, ma la speranza nell’integrazione era proprio nel percorso formativo. L’incontro tra culture differenti se gestito come elemento di opportunità e non di rischio è una ricchezza e questa consapevolezza l’ho appresa proprio dalla Svizzera”.
Senti di far parte di una nuova generazione che può cambiare l’Europa?
“La speranza è quella di prenderci la responsabilità come generazione nuova, per portare a termine un disegno europeo che è rimasto incompiuto, con cui siamo stati cullati sin dalla nascita. Ora davanti a molte spinte che tendono a fare un passo indietro, la generazione come la mia deve lottare per perseguire il modello europeo immaginato alla sua nascita. Siamo in un mondo che si muove per grandi aree geografiche. Sfaldare l’Europa è una follia. Bisogna restare in Europa. Non penso che il problema sia l’euro ma la gestione politica e la mancata integrazione politica vera tra i Paesi membri”.