Riconosciuto colpevole di truffa per mestiere e falsità in documenti ripetuta. Le vittime saranno risarcite.
LUGANO - Si conclude con la condanna a sei anni di carcere ed espulsione la vicenda del “principe” etiope. Nel tardo pomeriggio, il presidente della Corte delle assise criminali Amos Pagnamenta ha letto il verdetto: colpevole di truffa per mestiere e falsità in documenti ripetuta. Inoltre, è stato sancito il risarcimento per le vittime.
L’atto d’accusa, insomma, è stato confermato. «Ha agito per permettersi una vita da nababbo - ha spiegato il giudice - senza mostrare scrupoli». L’ elemento dell’astuzia, contestato dalla difesa, è stato confermato dalla corte, poiché si verifica anche «quando si dissuade il danneggiato a fare le verifiche, o quando si sa che non saranno fatte». La dissuasione, in questo caso, si è «perpetrata attraverso un castello di menzogne e documenti falsi, allestiti su indicazione dell’imputato».
La corte ha però constatato, alla luce dell’incarto, che «l’inchiesta non ha fatto chiarezza su alcuni punti, per esempio il titolo nobiliare dell’imputato. Avvolta da una coltre di nuvole anche l’origine dei bonds. Nonostante questo, i milioni ricevuti sono stati utilizzati dall’imputato per il proprio mantenimento e non per accaparrarsi i bond».
La trama della vicenda, ricostruita in aula in questi due giorni, si snoda dall’Etiopia al Ticino, dall’Inghilterra all’Italia e alla Germania. Una storia proseguita negli anni e che ha generato nel solo canton Ticino una truffa di quasi 13 milioni di franchi. Denaro, richiesto a tre noti imprenditori del Mendrisiotto dal 2007 al 2017, necessario per sbloccare titoli tedeschi e americani per centinaia di miliardi emessi fra la prima e la seconda guerra mondiale: cifre che il “principe” avrebbe poi spartito con i tre ticinesi. Un inganno costruito poi nel tempo dal sedicente nipote dell’imperatore Hailé Selassié, pure attraverso progetti umanitari da realizzare in Etiopia e paventati problemi di salute
Nell’arringa di ieri, la procuratrice Chiara Borelli aveva chiesto sette anni e l’espulsione dal territorio svizzero per truffa per mestiere e falsità in documenti ripetuta. Di contro, questa mattina il legale del condannato Andrea Minesso aveva domandato l’assoluzione per il primo punto (almeno per i fatti dal 2015 in avanti) per la mancanza dell’elemento dell’astuzia.
Al termine dell’intervento del suo legale, ha preso parola anche l’imputato: «Da questa situazione ne esco con le ossa rotte. Le pubblicazioni sono andate in tutto il mondo. Nessun denaro potrà restituirmi la dignità che mi ha insegnato mio nonno. Se il mio agire in qualche modo ha causato dei danni a questi signori, me ne scuso».