L'accusa chiede una pena di quattro anni e 10 mesi per la donna che accoltellò l'ex marito
LUGANO - «Voleva intenzionalmente fare male all’uomo, oppure si è legittimamente difesa dopo essere stata aggredita?». A questo domanda, la chiave di tutto il processo, la procuratrice Chiara Buzzi non ha dubbi: fu tentato omicidio intenzionale. Per questo, la richiesta dell’accusa verso la 35enne infermiera psichiatrica, imputata d’avere volontariamente accoltellato l'ex marito, è di quattro anni e 10 mesi (oltre a una pena di 30 aliquote giornaliere di 60 franchi, una multa di 100 franchi e un trattamento ambulatoriale).
Davanti alla Corte delle assise criminali di Lugano, presieduta da Amos Pagnamenta, questa mattina l’imputata ha affermato d’aver impugnato il coltello, solo come «gesto dimostrativo», non con l’intento di ferire o uccidere.
«Non essendoci testimoni, possiamo solo valutare la credibilità delle parti e gli elementi oggettivi - ha sottolineato invece l’accusa - la vittima è stata lineare fin dall’inizio. L’imputata no: sono diverse le incongruenze che hanno minato la sua credibilità».
Per la procuratrice la donna «ha cambiato versione spesso per suo comodo». L’imputata, descritta come «intelligente e manipolatoria», sarebbe stata, «arrabbiata e ferita» perché il suo ex marito aveva ancora contatti con la ex compagna. Appena ascoltato il messaggio vocale, «le è salito un senso di frustrazione incontenibile che l’ha portata a compiere il gesto, usando tutta la forza che aveva col braccio sinistro. Ha colpito alla cieca, in uno stato peraltro almeno alterato dall’alcol. Solo un caso ha evitato che il gesto, tutt’altro che dimostrativo, avesse conseguenze letali».
Sul punto cruciale, la frattura del mignolo, secondo l’imputata provocata dal 50enne nei suoi confronti, la procuratrice chiama in causa il parere del medico legale: «Si dice che sono compatibili più versioni, compresa quella in cui la donna si sia fatta male da sola intenzionalmente».
E sulla legittima difesa, l’accusa ha fatto notare come il litigio fosse concluso: «L’uomo, descritto da tutti, imputata compresa, come un uomo non violento, era rientrato in casa per prendere la giacca del figlio, non certo per picchiarla o farle del male».
La colpa «è grave sotto il profilo oggettivo e soggettivo - ha concluso la procuratrice. In 9 mesi di carcerazione preventiva, non ha mai chiesto scusa. Il suo obiettivo è sempre stato screditare il marito. Non ho trovato attenuanti: l’unica è la sua malattia psichiatrica. Ma la perizia ha concluso che era perfettamente in grado d’intendere e volere. Non ci sono giustificazioni».
Oltre a tentato omicidio intenzionale, la donna è accusata di guida in stato d'inattitudine, infrazione alle norme della circolazione e contravvenzione alla legge federale sugli stupefacenti. Nel primo pomeriggio, la parola passa alla difesa