Arrivano le prime testimonianze dei sopravvissuti al naufragio davanti alla costa calabrese
CROTONE - «Sono morti quelli che stavano sotto, nella stiva, non hanno avuto alcuna via di scampo quando la barca si è infranta sulla secca davanti alla spiaggia. Il mare li ha inghiottiti. Tanti di quelli che erano sul ponte si sono salvati. Poi le onde ci hanno trascinato con i detriti finché siamo riusciti a raggiungere la spiaggia».
Cominciano a parlare i sopravvissuti al naufragio di Steccato di Cutro mentre arrivano a piccoli gruppi al Palamilone per riconoscere i loro cari deceduti. Hanno ancora i segni di quella tragedia, graffi, ferite, ematomi. Al Centro di accoglienza, staff di psicologi della Croce rossa italiana e di Medici senza frontiere li stanno aiutando a metabolizzare la tragedia.
Al Palamilone ci sono gli psicologi di tutta la provincia di Crotone coinvolti dal Comune che, a turno, supportano i parenti delle vittime dopo i riconoscimenti. Da loro vengono raccolte storie terribili. Qualcuno al racconto dell'orrore del naufragio aggiunge la brutalità degli scafisti prima dello schianto: «Quando si sono accorti che la barca era troppo pesante, quando eravamo vicino alla costa, hanno iniziato a buttare le persone in acqua» ha raccontato più di qualcuno. L'attività di supporto è dedicata soprattutto ai minori che hanno dovuto riconoscere mamme, papà o fratellini morti. Ragazzini che restano soli, fermati anche dalle procedure burocratiche per ricongiungersi con i parenti che vivono in Europa.
La testimonianza più straziante arriva da Alladin Mohibzada, 25enne afgano che ha guidato per un giorno intero per raggiungere Crotone dalla Germania. Tra i naufragi c'erano gli zii e 5 cugini, che dovevano raggiungerlo in Germania. Prima che la barca si disintegrasse sulla spiaggia aveva avuto un messaggio dallo zio: «I miei parenti erano in sei hanno pagato 30 mila dollari per la traversata. Mio zio mi ha inviato un vocale alle 3.50 di domenica dicendomi 'stiamo tutti bene tra un'ora arriviamo. Il peggio è passato. Ora aspettiamo la polizia. Il capitano (lo scafista, ndr) ci ha detto vi porto in sicurezza'. Poi hanno trovato la secca e la barca si è distrutta».
Nel naufragio Alladin ha perso la zia ed i cugini di 12, 8 e 5 anni che è andato a riconoscere. Lo zio si trova al Cara insieme all'unico cugino 14enne sopravvissuto. «A bordo della barca erano circa 180, gran parte erano stipati nella stiva con una sola via di uscita. Mio zio ha raccontato che hanno visto la polizia (i soccorsi, ndr) sulla spiaggia mezz'ora dopo che avevano dato l'allarme ma nessuno si è avvicinato perché non avevano una barca per raggiungerli». Il riferimento è ai soccorsi giunti via terra. Il ragazzo racconta che anche la nonna doveva essere sulla barca «ma è rimasta in Turchia perché non avevamo abbastanza soldi per farla imbarcare: lei non sa niente di quello che è accaduto, di aver perso figli e nipoti». Alladin vorrebbe portare in Germania i resti dei suoi parenti. Per questo chiede aiuto allo Stato italiano: «Sto aspettando una risposta per farli riposare in pace».
Accanto al dramma, per fortuna, ci sono anche dei sorrisi. Uno dei superstiti, un ragazzo pakistano di 24anni, riesce grazie ad alcuni connazionali che vivono a Crotone a contattare la famiglia: «Sto bene, a Crotone sono tutti buoni, la polizia mi ha aiutato» dice loro al telefono piangendo.