di Orlando Guidetti, criminologo investigativo forense e Specialista in vittimologia e vittimistica
«Guardare da una prospettiva diversa la società» ci dà la possibilità di evolvere e di cambiare anche la giustizia.
Con l’introduzione, anche alle nostre latitudini, di quella che da noi viene chiamata giustizia riparativa, un metodo valido e complementare alla giustizia penale, la quale fonda le sue basi scientifiche nella vittimologia e nella vittimistica, scienza autonoma all’interno di quello che può essere l’ambito della criminologia in generale, possiamo oggi affrontare con un diverso approccio importante, ciò che riguarda il rapporto tra vittima e reo. Relazione sino a oggi trascurata, specialmente in termini di recidiva e riparazione del danno.
Fino agli anni ’50 la criminologia, aveva considerato la vittima ma in modo marginale, in altre parole in funzione dello studio del criminale; solo dagli anni ’50 la vittimologia ha raggiunto una sua autonomia che, nel contesto della sua evoluzione, oggi ci permettere di affrontare il dolore delle vittime e la loro relazione con il reo, responsabilizzandolo per le sue azioni.
Concretamente però, solamente nel 1985 a livello internazionale si è affrontato il problema della vittima, con la dichiarazione dell’ONU sui diritti della vittima.
Prima di allora, tali diritti potevano essere sottointesi perché la vittima era comunque tutelata dalla giustizia penale, che difendeva la stessa andando a colpire il reato, però di fatto la vittima quanto tale non veniva considerata e il tutto era imperniato su un discorso repressivo e sempre incentrato sul reo.
La disciplina vittimologica, è stata creata allo scopo essenziale di raffinare, perfezionare e approfondire le responsabilità, caratteristiche della vittima rispetto al reo. Da qui molte critiche che sono state contrapposte alla vittimologia, sostenevano la volontà di questa disciplina di enfatizzare il ruolo della vittima per tornare a un discorso di vendetta nei confronti del reo allontanandosi dal fine riparativo. Secondo alcuni, studiare la vittima o pensare dal punto di vista anche della vittima sarebbe tendenzialmente pericoloso, perché potrebbe indurci a non considerare le motivazioni del reo.
Ma non si deve confondere la giustizia riparativa con il concetto di perdono penale.
A oggi siamo abituati che la giustizia venga esaurita con l’effetto della giustizia penale, evitando di affrontare e risolvere quel rapporto di relazione tra vittima e criminale, gli studi interpersonali delle relazioni che si instaurano fra la vittima e il criminale possono dare notevoli apporti ai fini diagnostici e al processo per esaminare la relazione vittima-criminale.
Gli autori che hanno dato inizio allo studio della vittimologia considerano basilare e importante capire la relazione vittima-criminale, oltre che conoscere quelle che possono essere le motivazioni, le caratteristiche e la fenomenologia del criminale.
Nel concreto è molto importante poter analizzare l’incontro della vittima e dell’autore e del fatto criminoso, il quale in molti casi avviene all’interno di una relazione affettiva, in famiglia, in una relazione che si è instaurata negli anni, penso in particolar modo quando si parla di violenze sui bambini e sulle donne. Ciò non ci deve comunque far sottovalutare altri crimini che avvengono fuori dall’ambiente famigliare o relazionale, ossia crimini che si materializzano in un rapporto tra perfetti sconosciuti.
Le conseguenze sulla vittima sono legate al pregiudizio che subito va a intaccare le dimensioni fiduciarie indispensabili per orientarsi nel proprio ambiente quotidiano. Il mondo non è più sicuro, una sensazione di spaesamento e angoscia s’impadronisce della vittima e la costringe spesso a un blocco emotivo in grado di condizionare negativamente la sua esistenza. La brusca e inaspettata interruzione del percorso di vita intrapreso, fino a quel momento, causato dall’evento criminoso, può modificare per sempre gli strumenti interpretativi della realtà circostante che ciascuna vittima possiede.
Perciò è molto importante l’applicazione della giustizia riparativa, che nel contesto vittimiologico, ha per oggetto lo studio della vittima del reato, della sua personalità, delle sue caratteristiche biologiche, psicologiche, morali, sociali e colturali, delle sue reazioni con l’autore del reato, e del ruolo che essa ha assunto nella criminogenesi ( che spiega com’è nata e perché è nata l’idea criminale) e nella criminodinamica ( che indica come si è sviluppata la sequenza cronologica delle azioni costituenti l’idea criminale e con quale modalità si è sviluppata).
La vittima anche se come capita oggi, le verrà riconosciuto a livello legale e penale il danno subito, rimarrà per sempre una vittima, se non aiutata a elaborare il torto e confrontarlo con le azioni e il pensiero del reo, capire e comprendere il perché è stata scelta come vittima, essere riconosciuta come persona e non oggetto dal reo, la aiuterà a ricostruire la sua personalità elaborando e superando i traumi cagionati dall’evento criminoso, acquistando consapevolezza e forza in se stessa.
Di riflesso se il reo non verrà anch’esso aiutato a comprendere i meccanismi che lo hanno condotto a commettere una determinata azione e gli effetti della stessa sulla vittima e sulla società, questi non sarà mai in grado di elaborare e capire l’entità del danno che con il suo agire ha causato, ottenendo un rischio di recidiva molto alto.
Pertanto, l’introduzione della giustizia riparativa offrendo uno sguardo più ampio al concetto di giustizia, come si vede l’esempio in altri paesi, pensiamo all’Italia, Belgio dove la mediazione riparativa possiamo dire che sia consolidata, è certamente uno strumento importante, che affiancato alla giustizia penale che conosciamo, potrà condurre fruttuosamente a risultati importanti nel riconoscimento tra vittima e reo << Io ti vedo - Allora io esisto per te >> andando a rielaborare i concetti di disumanizzazione e di danno, tra gli attori di un determinato tipo di reato o vicenda.
Questo non potrà che giovare sul piano umano e legale, dandoci la possibilità di acquisire una consapevolezza di ciò che siamo in relazione gli uni agli altri e che le nostre azioni, reati inclusi, sono delle espressioni non solo di un libero arbitrio, ma sono anche legate ad abitudini, pensieri ed emozioni.