Prima campione, ora leggenda
Calciatore, politico, attore, "trimarito" e padre: una vita intensissima quella del brasiliano
SAN PAOLO - Ha atteso, ha tenuto duro ed è riuscito a seguire i Mondiali di calcio. Poi se n’è andato tra un complimento a Messi e l’amarezza per non aver visto il suo Brasile regalargli una gioia.
Lui che di Coppe del Mondo però non aveva bisogno, avendone vinte già tre, tutte da protagonista. Il calcio, ma forse potremmo dire l’arte in generale, piange la scomparsa di Edson Arantes do Nascimento, per tutti semplicemente Pelé. Per molti il più grande calciatore di tutti i tempi, il quale ha finito la partita più lunga della sua carriera, quella con la vita. E ha giocato da protagonista anche quella, resistendo per tanto tempo, diversi anni, agli acciacchi e in ultimo a un tumore al colon a cui, oramai stanco, ha concesso il gol della bandiera, allo scadere.
Il brasiliano ha battuto qualsiasi record battagliando, nell’immaginario collettivo, con l’altro “Dio” Diego Armando Maradona, che si è spento poco più di due anni fa. Basterebbero i numeri e i titoli per disegnare la sua grandezza. È per esempio stato l’unico calciatore al mondo ad aver vinto tre edizioni dei Mondiali (1958, 1962 e 1970); il suo gol realizzato alla Svezia nella finale del ‘58 è considerato il terzo più grande gol nella storia della Coppa del Mondo; ha il record di reti realizzate in carriera, 1'281 in 1'363 partite. Unico difetto che i suoi detrattori, a dire il vero pochissimi, gli hanno imputato è il non aver mai voluto attraversare l’Oceano per misurarsi in un campionato europeo.
Ma Pelé è stato qualcosa di più di un semplice giocatore. Nato il 23 ottobre del 1940 a Três Corações, nello Stato del Minas Gerais, Edson è chiamato affettuosamente Dico; da papà Dondinho, ex calciatore professionista, e da mamma Celeste. Come tutti gli eroi brasiliani, cresce in una famiglia molto povera a Bauru, un comune dello Stato di San Paolo. La casa è di legno, e quando piove l’acqua entra dal tetto. Le ristrettezze economiche fanno sì che il piccolo Edson debba guadagnarsi da vivere pulendo le scarpe. I momenti di svago li passa con un similpallone fatto di stracci e carta di giornali, arrotolati dentro una calza. Ma il calcio, il suo talento, lo salvano. Salvano lui e la sua famiglia. Giovanissimo, lo nota infatti il Santos e la sua vita cambia perché da lì in poi sarà un’escalation, sempre con la palla tra i piedi, fino ad arrivare pure negli Stati Uniti nella seconda metà degli anni ’70 per promuovere il “soccer”. Gioca tre stagioni con i Cosmos insieme ad altri big in là con gli anni, Bettega, Chinaglia, Beckenbauer: vince e segna anche negli Stadium a stelle e strisce prima di dire basta, il 1. ottobre 1977, dopo un’amichevole tra Santos e Cosmos, le due squadre della sua carriera di club per le quali gioca un tempo per ciascuno.
Nella vita privata tre matrimoni e sette figli con un rammarico: “Non sono stato un buon padre per loro”. Sempre in giro per il mondo, come un’icona, ambasciatore del calcio a vita, ispirazione per l’arte, il cinema in particolare. Tanti i film a lui dedicati, l’ultimo nel 2016 dal titolo omonimo “Pelé”. Ma per tutti resterà scolpita nella mente e sulla celluloide la rovesciata finale nella celebre pellicola “Fuga per la vittoria”. Quella che Pelé ha condotto dal primo giorno di vita fino all’ultimo. Ciao O’Rey e grazie delle magie che ci hai regalato.