Per l'attaccante rossocrociato prevista una multa di 135'000 franchi con la condizionale
Il 26enne è stato protagonista di una zuffa notturna nel 2018.
BASILEA - Giovedì Breel Embolo è stato giudicato colpevole dal Tribunale penale di Basilea per molteplici minacce. Il giudice ha accolto quasi totalmente la tesi accusatoria e, per questo, il calciatore è stato condannato a versare 45 aliquote giornaliere da 3'000 franchi l'una (pena sospesa con la condizionale, più le spese processuali e il risarcimento per gli accusatori). Il giocatore non era presente al momento del verdetto. Secondo il suo avvocato tornare in Tribunale dopo la deposizione resa mercoledì non era infatti necessario.
Prima di arrivare alla sentenza odierna, il nazionale rossocrociato ha affrontato con serenità, quasi supponenza (più volte "contestatagli" dal giudice), il processo. Maglietta chiara, cappellino, grande sorriso, tanta voglia di scherzare, ieri (mercoledì) il 26enne ha cominciato la sua avventura al Tribunale penale convinto di avere buone carte da calare sul tavolo. Questo nonostante la serietà delle accuse che pendevano sulla sua testa per l’alterco (condito da minacce e… da un naso rotto), verificatosi nel maggio 2018 a Basilea. Almeno inizialmente, davanti al Presidente Katharina Giovannone non ha infatti mostrato segni di nervosismo.
Accompagnato dal suo legale, Breel ha cominciato scampando a nuove accuse di istigazione alla violenza e, in seguito, ha allestito un teatrino, negando di avere uno stipendio da capogiro. «Ho letto su internet che guadagna milioni, è vero?», gli è stato chiesto, anche pensando alle aliquote giornaliere per la multa poi inflittagli. «Non creda a tutto quello che c'è su internet», ha risposto il calciatore, che ha in ogni caso evitato di specificare il suo effettivo reddito. Non si è sottratto alla domanda, invece, il coimputato, il miglior amico di Embolo, che ha raccontato di lavorare part-time, di guadagnare 1’200 franchi al mese e di essere per il resto aiutato dalla sua famiglia.
In seguito si è provato a ricostruire i fatti. Il calciatore ha spiegato che, in compagnia del cugino e di un amico, si è recato al Velvet Club. Al momento di raggiungere il parcheggio del locale è stato avvicinato da un gruppo di giovani piuttosto ubriachi. Tra questi uno soprattutto si è mostrato violento e ha proferito diversi insulti. «Poi l’ho affrontato». Complice il tempo passato, a quel punto il racconto si è tuttavia fatto confuso. «Forse gli ho detto figlio di pu***na, è una parola che dico quando sono arrabbiato». «C’è stata una spinta». Confermato l’alterco e l’atmosfera surriscaldata, la punta del Monaco non ha in ogni caso saputo giustificare come uno degli accusatori si sia procurato la frattura al naso. Forse frapponendosi tra i litiganti? «Non ho visto».
«Non ho visto», «Non ricordo», sono state anche le dichiarazioni rilasciate dal cugino del giocatore, ascoltato solo velocemente dal giudice. E dello stesso tenore sono state le parole di una testimone, che ha spiegato di aver riconosciuto l'attaccante, di aver chiesto una foto, dell’intervento di un amico - quello uscito dalla serata con il naso sanguinante - e della tensione dopo una risposta piccata del 26enne. Insulti, minacce, sangue? Niente.
Più chiara è (ovviamente) stata la dichiarazione resa dall’accusatore, che ha spiegato di «Non aver mai rappresentato alcun pericolo», di voler solo mediare quando la tensione è cresciuta e… di aver ricevuto un pugno, per il quale ancora soffre delle conseguenze: di avere difficoltà respiratorie. Ha poi, insieme ad altri testimoni, spiegato che le minacce sono invece arrivate dal calciatore e dai suoi compagni.
La recita davanti al giudice si è conclusa con le parole del procuratore Roman Barth e da quelle di Gabriel Geiss. Il primo ha accusato Embolo di non mostrare alcun rispetto nei confronti del presidente del Tribunale e ha spinto per una multa di 60 tariffe giornaliere di 3’000 franchi per un totale di 180’000 franchi e tre anni di condizionale. Il secondo, il legale difensore, ha invece chiesto sull’assoluzione, puntando sull’assenza di prove reali, su dichiarazioni contrastanti e sottolineando che «Il caso è rimasto in sospeso per troppo tempo e il suo assistito fino al 2021 non era al corrente delle accuse che pendevano sulla sua testa».