Dopo la nascita nessun altro genitore torna al lavoro così presto come gli svizzeri. L'esperta: «Una questione economica e culturale»
BELLINZONA - Il congedo parentale è al centro dell’attenzione in Svizzera. Un’iniziativa presentata mercoledì da un comitato apartitico, punta ad estenderne la durata a 18 settimane per ciascun genitore. Sì perché attualmente nel nostro Paese una madre lavoratrice, dopo il parto, ha diritto a sole 14 settimane di congedo retribuito all'80%, il padre a due. Chi arriva dall’estero, tuttavia, ne rimane stupito. Al confronto europeo nessun altro genitore deve tornare al lavoro così presto dopo la nascita del bambino. Oltre al fatto che il periodo di congedo parentale può essere suddiviso tra i due genitori.
«Se guardiamo al contesto europeo - spiega Rachele Santoro, delegata per le pari opportunità del Cantone Ticino - la Svizzera si trova nella parte bassa della classifica per quanto riguarda i congedi genitoriali. Qui il dibattito è ancora aperto e le misure attuali sono tra le più restrittive d’Europa».
Gli esempi più virtuosi arrivano dal Nord Europa, ma non solo
La Scandinavia si conferma ancora una volta punto di riferimento e con un congedo parentale massimo di 480 giorni per coppia è la Svezia a primeggiare. In questi circa 16 mesi, 90 giorni sono riservati alla madre e 90 al padre, indennizzati tutti all’80% dello stipendio. C'è poi la Norvegia, primo Stato in assoluto ad aver introdotto il congedo obbligatorio per i papà nel 1993. Qui complessivamente per la famiglia sono previsti 12 mesi di congedo retribuito: ciascun genitore può godere di un minimo di 15 settimane retribuito al 100% a un massimo di 19 con retribuzione all'80%.
Nella vicina Germania i genitori possono usufruire di un congedo fino a 14 mesi con un'indennità proporzionata al reddito, oltre al fatto che è loro concesso di lavorare fino a 32 ore settimanali per un massimo di 24 mesi. In Polonia, è stato esteso a 36 settimane, di cui 20 retribuite al 100%. In Spagna nel 2021 è stato fissato a 16 settimane per ciascun genitore, con un indennizzo pari al 100% della retribuzione. Di queste, le prime sei sono obbligatorie dopo la nascita del neonato, mentre le successive 10 possono essere sfruttate a proprio piacimento nell'arco dei 12 mesi successivi a nascita, risoluzione dell'adozione e affidamento. Nel caso in cui il parto sia prematuro, possono essere aggiunte 13 settimane qualora l’ospedalizzazione superi i sette giorni. Inoltre, dopo il compimento del 1° anno di età del bambino, ai genitori vengono concesse altre otto settimane non retribuite da utilizzare entro gli otto anni.
Perché in Svizzera c’è questa resistenza?
«Da un lato persiste un modello familiare tradizionale, in cui la cura di figli e figlie è ancora vista principalmente come una responsabilità materna. Dall’altro, ci sono ragioni economiche: il sistema previdenziale e il mercato del lavoro non incentivano il congedo parentale prolungato, soprattutto per i padri. Molti datori di lavoro temono che un’estensione del congedo possa pesare sulle finanze delle aziende e rallentare la produttività. Nelle realtà medio-piccole, non concedono nemmeno una riduzione della percentuale lavorativa a molti neo-padri. Inoltre, non esiste ancora una rete di supporto e di servizi per l’infanzia sufficientemente sviluppata e accessibile».
In media le madri residenti in Ticino dopo quanti mesi rientrano al lavoro?
«La maggior parte rientra al lavoro tra i tre e i sei mesi dopo il parto. Tuttavia, molte lo fanno a tempo parziale, spesso per necessità più che per scelta. Questo perché la mancanza di strutture pubbliche accessibili per l’infanzia e i costi elevati degli asili nido rendono difficile per molte famiglie sostenere un rientro immediato a percentuali di lavoro elevate o a tempo pieno. Va anche considerato che alcune madri decidono di prolungare la loro assenza dal mercato del lavoro perché le attuali politiche non offrono alternative sufficientemente flessibili per conciliare famiglia e carriera».
Le esperienze di alcune mamme: «I datori di lavoro ci vengono incontro, ma non è da tutti»
Malgrado la normativa pecchi di sostegno alle neomamme, una pezza riescono a mettercela - in alcuni casi - i datori di lavoro. «Nel corso della maternità mi è sempre stato versato lo stipendio al 100%. Sono rientrata dopo 16 settimane dal parto e inoltre mi sono stati concessi i permessi per l'allattamento - racconta Alessia* del Luganese -. Tuttavia, per quanto riguarda la possibilità di assentarsi dal lavoro, a partire dal 1° anno di età, la situazione cambia. Non avere la flessibilità e la certezza di poter usufruire di periodi o dei permessi a volte è frustante».
Anche un'altra mamma si ritiene fortunata. «Sono rientrata al lavoro quando mio figlio ha compiuto i cinque mesi - dice Anna*, della Capriasca - La mia capa sa che è innaturale lasciare un bambino al nido a partire dai quattro mesi. Credo che non ci sia una reale tutela della donna, tante sono costrette a rientrare immediatamente altrimenti rischiano di perdere il posto. Ogni mamma deve avere il diritto di stare a casa con il proprio figlio almeno fino a quando compie i sei mesi di vita».
*nomi noti alla redazione
Quali sono le maggiori difficoltà che le coppie genitoriali riscontrano con questo modello?
«Sicuramente la gestione della cura dei neonati nelle prime fasi della vita. Le 14 settimane di congedo maternità non sono sufficienti per garantire un equilibrio familiare adeguato e le due settimane concesse attualmente ai padri sono simboliche e non permettono un loro vero coinvolgimento nella prima fase della vita del bambino. Questo modello contribuisce a normalizzare una suddivisione dei ruoli tradizionali all’interno della coppia, in cui le madri sono le principali responsabili dell’accudimento di figli e figlie, mentre i padri si occupano del sostentamento finanziario della famiglia. Inoltre, molte coppie si trovano costrette a fare i conti con difficoltà economiche legate alla riduzione del reddito familiare durante il congedo. Infine, in alcuni casi le coppie di neogenitori sono maggiormente esposte al rischio di burn out dovuto a un ritorno prematuro sul posto di lavoro durante i mesi in cui il neonato è ancora particolarmente bisognoso e non ha dei ritmi regolari».
Perché la Svizzera è così in ritardo da questo punto di vista?
«Nel passato, diversi i cantoni hanno tentato di cambiare la situazione, introducendo congedi parentali più lunghi. Tuttavia essendo un tema giuridicamente di diritto federale non li hanno potuti implementare. Il nostro sistema federale ha frenato il tutto. Ora si spera veramente che la Confederazione prenda in mano la questione per fare una proposta valida per tutti i cittadini e le cittadine».
L'esperienza di un papà: «Un parto non facile, due settimane non bastano»
«Il mio caso è stato piuttosto particolare - racconta Giacomo* di Lugano -. Abbiamo avuto un parto piuttosto anomalo, con rottura delle acque la domenica notte e il parto vero e proprio solo il giovedì. Siamo riusciti ad andare a casa, tutti e tre assieme, la domenica successiva. Non volendo, e non potendo, lasciare da sola mia moglie ho finito per passare una delle due settimane previste per noi papà in ospedale. Mi rendo conto che il nostro lieto evento non è - per così dire - da manuale, ma è anche vero che ogni nascita è diversa dall'altra. In caso di imprevisti sarebbe giusto poter godere di un più tempo e flessibilità, per affrontare l'evento al meglio e con la dovuta serenità».
*nome noto alla redazione
L’estensione a 18 settimane per ciascun genitore potrebbe essere una soluzione?
«Rappresenta un passo significativo verso una maggiore parità. Permetterebbe una distribuzione più equa delle responsabilità familiari, incentivando anche la partecipazione dei padri al lavoro di cura e domestico e delle madri al lavoro remunerato. Favorirebbe una maggiore parità di genere nel mercato del lavoro, riducendo il rischio che la maternità penalizzi le donne nella carriera professionale, avendo un effetto positivo sul divario salariale e contribuendo a una maggiore indipendenza economica delle donne. Inoltre, un periodo più lungo permetterebbe ai genitori di organizzarsi meglio, garantendo una migliore qualità della vita familiare, con effetti positivi anche sulla salute generale dei figli. Infine, una migliore politica familiare permetterebbe di controbilanciare lo sviluppo demografico con un effetto positivo sulla natalità».