Le prove utilizzabili non hanno potuto confermare il reato. L'archiviazione non è ancora ufficiale
BERNA - Nel quadro dei cosiddetti Corona-Leaks, il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) vuole archiviare il procedimento in corso contro l'ex capo della comunicazione di Alain Berset, Peter Lauener, e il CEO di Ringier Marc Walder. I sospetti di reato non hanno potuto essere provati.
L'MPC ha confermato oggi a Keystone-ATS informazioni sul tema pubblicate dalle testate dell'editore Tamedia. Fondamentalmente, le prove utilizzabili non hanno potuto confermare il reato. Le parti in causa sono state informate, anche se l'archiviazione non è ancora ufficiale.
Il tutto è una conseguenza di una sentenza del Tribunale federale (TF) risalente a febbraio, che ha impedito al MPC l'accesso alle mail scambiate fra Lauener e Walder. I giudici hanno valutato la protezione giornalistica delle fonti di rilevanza superiore rispetto ai chiarimenti sul caso. I dati sequestrati sono quindi rimasti sigillati.
Il caso - La vicenda sulla presunta fuga di notizie relative al Covid-19 a favore del gruppo editoriale Ringier ha scosso l'intera Svizzera negli anni 2022 e 2023. Il sospetto è che Lauener abbia informato in anticipo i media della casa editrice sulle misure previste dal Consiglio federale durante la pandemia.
Il capo della comunicazione del Dipartimento federale dell'interno (DFI, in primo piano durante la crisi sanitaria) è stato accusato dal procuratore pubblico straordinario dell'epoca, Peter Marti. L'ipotesi di reato è la violazione del segreto d'ufficio. Il sospetto è che in cambio degli scoop Berset abbia poi beneficiato di un trattamento di favore da parte del gruppo editoriale con sede a Zofingen (AG).
Nel corso delle indagini sono stati sequestrati diversi computer portatili, poi sigillati su domanda degli interessati. Il MPC ha in seguito chiesto di poter accedere al materiale. Il TF ha però respinto tale domanda, facendo leva sull'articolo 172 del Codice di procedura penale (CPP) che garantisce la tutela di quelle che vengono designate "fonti degli operatori dei mezzi di comunicazione sociale".
Secondo i giudici dell'Alta corte, la tutela delle fonti passa in secondo piano unicamente se si tratta di far luce su reati gravi o se la testimonianza è necessaria per preservare da un pericolo imminente la vita o l'integrità fisica di una persona.