Divergenze sulle riduzioni di canone in ambito commerciale, l'Associazione inquilini fa balenare una perizia
La Camera dell'economia fondiaria ribatte ricordando che gli aiuti per casi di rigore servono anche a pagare le spese fisse, tra cui la locazione
LUGANO - Sono state una sessantina finora in Ticino le richieste di riduzione/condono d’affitto passate dagli uffici dell’Associazione Svizzera Inquilini (ASI) durante la pandemia. Si tratta per la quasi totalità di attività commerciali. La chiusura e la messa in lockdown di ristoranti, negozi, musei, palestre, etc... ha reso acuto il problema dei costi fissi, tra cui spicca il canone di locazione.
Più accordi che liti - Niente incassi significa discussioni, più o meno accese, con i proprietari degli stabili. I casi trattati dall’ASI sono verosimilmente la punta dell’iceberg, non comprendono infatti le intese “amichevoli” e dirette tra le parti. Ma un aspetto emerge chiaro, il più delle volte si giunge a un accordo mediato dall’associazione, in rari casi si passa dall’Ufficio di conciliazione e tre volte (a Lugano) dalla Pretura. I rifiuti si situano, grossomodo, attorno al 15 per cento.
La Catef: «Ci sono gli aiuti di rigore» - La richiesta di riduzione d’affitto, secondo la Camera ticinese dell’economia fondiaria, deve essere l’ultima ratio e non c’è comunque nessun automatismo. «La situazione oggi è più chiara rispetto alla scorsa primavera. Nel senso che sono stati attribuiti tutta una serie di aiuti importanti, tra cui i più recenti per i casi di rigore» sottolinea la segretaria cantonale della CATEF Renata Galfetti. «Proprio per i casi di rigore - prosegue l’avvocato - si precisava espressamente che gli importi erano concessi per coprire i costi fissi, come gli affitti».
«Aziende anche proprietarie» - La segretaria della CATEF, citando uno studio della task force incaricata dal Consiglio federale di studiare la questione, ricorda che le aziende svizzere sono nella misura del 60% proprietarie dei loro locali e per il 40% inquiline. «Quindi - sottolinea Galfetti - anche i proprietari sono confrontati con dei costi fissi. Nella discussione pubblica emergono invece solo i problemi degli inquilini».
«Ingiusto scaricare i problemi» - Davanti alle richieste di riduzione d’affitto, la CATEF invita gli inquilini «a non avere un approccio arrogante con i proprietari. Non sempre l'atteggiamento appare costruttivo e non tutti sembrano apprezzare la disponibilità del proprietario a discutere. Prima di chiedere, informatevi sulle possibilità di aiuto. È ingiusto scaricare il proprio problema sulle spalle degli altri» dice Galfetti.
L’ASI: «Protezione dalle disdette» - Il tema è caldo, come dimostra anche la richiesta a livello nazionale dell’Associazione svizzera inquilini che ieri ha chiesto al Consiglio federale una moratoria sugli sfratti degli inquilini e per l’ambito commerciale maggiori protezioni dalle disdette: «A causa dei costi fissi elevati, le aziende interessate fanno sempre più fatica a pagare l’affitto» ha scritto a Berna l'Associazione nazionale.
«L’interesse è comune» - Per Adriano Venuti, presidente dell’Associazione Svizzera Inquilini-Sezione Ticino, trovare «un accordo sulla riduzione degli affitti commerciali è nell’interesse di entrambe le parti. Perché oggi se un ristorante o un negozietto dovesse chiudere definitivamente, il rischio che il locale resti sfitto è alto. Il muro contro muro non porta a niente».
L’automatismo negato degli aiuti - Quanto al fatto, ricordato dalla CATEF, che gli aiuti di rigore debbano andare a coprire gli affitti, la posizione dell’ASI è più sfumata: «Le spese fisse sono anche altre - ricorda Venuti - ci sono gli stipendi, per esempio. Gli aiuti non sono indirizzati specificatamente per l’affitto, se ne avanzano sì, perché non è una cifra sufficiente a coprire tutte le spese. Non c’è automatismo».
La perizia: «L’affitto con il lockdown non è dovuto» - Venuti cita anche una perizia commissionata dall’ASI che non mancherà di far discutere: «Abbiamo fatto fare una perizia, confermata da più di un avvocato, secondo cui se il locale commerciale è chiuso per ordine del Governo, tale chiusura è da parificare a un difetto della parte locata. Difetto che, quando rende lo spazio inutilizzabile, fa sì che la pigione non sia dovuta. La perizia dice che si può non pagare. Chiaramente la verifica andrà fatta attraverso i tribunali. Non ci siamo ancora arrivati» conclude Venuti.