Secondo Nando Ceruso il CCL sottoscritto alla Cebi sarebbe nato «ascoltando le preoccupazioni degli operai».
Una dipendente della ditta di Stabio però non ci sta: «Ci siamo ritrovati con un contratto che peggiora le nostre condizioni, già stampato e da sottoscrivere all'uscita dell'assemblea del personale».
STABIO - «Sono rimasta scioccata dalle dichiarazioni del Sig. Ceruso, sono assurde e false e non possono passare sotto traccia». Una dipendente della Cebi di Stabio - una delle tre ditte che hanno deciso d'introdurre un nuovo e discusso Contratto collettivo di lavoro (CCL) - prende posizione dopo l'articolo apparso oggi su La Domenica, in cui il già vice segretario cantonale dell'OCST e oggi presidente dell'organizzazione Tisin, Nando Ceruso, racconta la sua verità.
Salario più basso - In particolare, a indignare è l'affermazione secondo cui gli operai «guadagneranno di più e nessuno perderà un franco in busta paga rispetto a oggi». «Non è vero - ribatte la nostra interlocutrice, che evidentemente desidera rimanere anonima - perché noi guadagnavamo 17.30 franchi all'ora e rimanere con quella remunerazione sarebbe già stato un successo. Invece con il nuovo CCL scendiamo al di sotto di quella cifra. A essere saliti sono eventualmente i contratti a termine, che come dice il nome stesso sono contatti a scadenza».
Condizioni peggiorative - Ma non è solo il salario a essere regolato dal CCL. Ci sono infatti una serie di articoli che, sempre secondo l'operaia, «nell'80% dei casi sono peggiorativi»: via ai permessi retribuiti fino a due ore, una settimana lavorativa che passa da 43 a 45 ore e la possibilità di pagare lo stipendio in euro, con un cambio fisso: «Di conseguenza, dal contratto sembra che guadagni di più di quanto in realtà ti paghino».
Nessuna soluzione condivisa - Oltre al contenuto del CCL, ad aver lasciato senza parole la dipendente della Cebi è anche il passaggio in cui Ceruso afferma di essere stato «in mezzo agli operai». «Il Signor Ceruso dovrebbe spiegare quale assemblea con le maestranze ha fatto, perché io non ho mai visto né lui, né l'assemblea», lamenta l'operaia. O meglio, un'assemblea c'è stata, ma a giochi ormai fatti: «Abbiamo saputo il 1. settembre che il direttore si era incontrato con un sindacalista. Ma l'abbiamo visto in faccia solo il 7 settembre, quando in assemblea ci hanno "proposto" il contratto, già stampato e da firmare all'uscita. Altro che "ascoltare le preoccupazioni degli operai e trovare con loro delle soluzioni". È assurdo».
E questo per tutti i dipendenti dell'azienda, circa 500. «Qualcuno che ha osato non firmarlo c'è stato, ma tutti abbiamo bisogno di lavorare. Quindi alla fine si abbassa la testa e si va avanti», è l'amara conclusione dell'operaia. Che ora non può far altro che appellarsi alla politica. Affinché la situazione cambi.