Burning Man travolto dalle piogge, il racconto del 35enne ticinese Michele Antonini: «Esperienza indimenticabile e arricchente».
AGNO - C’era anche lui tra le 70'000 persone bloccate dalle piogge e dal fango al festival Burning Man nel deserto del Nevada, negli Stati Uniti. Michele Antonini, 35enne di Agno, torna in Svizzera e racconta la sua esperienza a Tio/20Minuti. Mettendo subito in chiaro alcuni aspetti. «A me sembra che mediaticamente si sia esagerato. Ho sentito parlare di incubo. È stato anche molto enfatizzato il fatto che ci sia stato un morto. Io vorrei una visione dei fatti più equilibrata».
«Crescita personale» – Nato nel 1986 il Burning Man è un maxi raduno che attira gente da tutto il mondo. Un inno alla spiritualità e alla cultura alternativa. Inizialmente si svolgeva a San Francisco. Dagli anni ’90 il teatro dell’evento è diventato il deserto di Black Rock City. La cosiddetta “Playa”. «Professionalmente mi occupo di coaching – spiega Michele –. Ho pensato che il festival, che dura nove giorni (e che si è chiuso lunedì), potesse essere una bella possibilità di crescita personale. Ecco perché mi sono messo a disposizione come volontario. Mi trovavo sul posto già dal 2 agosto».
I due uragani – Michele racconta come il primo uragano si sia scatenato sulla “Playa” una settimana prima dell’inizio della manifestazione. «E quella volta, ha piovuto decisamente più della seconda quando l’evento era già in corso. In entrambe le occasioni c’era fango ovunque. Questo è vero. Ma io non ho visto particolari scene di panico. Certo, era seccante dovere stare in tenda vista la quantità di opportunità che il festival offriva. Si ripiegava sul riposo, sulla meditazione, sullo yoga. Su nove giorni di festival sono rimasto in tenda un giorno e mezzo. Alla fine neanche poi molto».
Dalla musica all’arte – Ma quali sarebbero queste opportunità? Michele, che come volontario ha contribuito a realizzare una parte dell’enorme recinzione delimitante l’area, ne elenca alcune: «C’è di tutto. Dalla musica all’arte. Dal cibo allo sport. Io sono riuscito a fare anche un’ultraterrena. C’è un clima di integrazione. Uno dei principi è il dono. Poi c’è l’abbraccio. Cose che nella società fredda in cui viviamo vedi raramente. Il morto? Dispiace davvero. Però stiamo parlando di una persona su 70'000. E non sappiamo nemmeno bene come è deceduta».
«Fuori dalla zona di comfort» – Asiatici, russi, europei, americani. «Devo dire la verità: mi hanno detto che c’erano altri svizzeri, ma non ne ho incontrato nemmeno uno, talmente c’era tanta gente. Ho visto persone di ogni età. Tanti 40enni e 50enni. E anche diversi ultra 80enni. Uno era addirittura col girello. Il Burning Man, che si è concluso come sempre con l’incendio di una statua di legno alta circa 12 metri, è qualcosa di incredibilmente grande. E ti consente di uscire dalla tua zona di comfort: al campo bisognava imparare ad arrangiarsi. Ho notato una dedizione al lavoro altissima. Sul posto sono arrivati anche alcuni militari americani per valutare l'operato del Burning Man. La valutazione è stata ottima. Per me è stata un’esperienza indimenticabile e arricchente».