C'è stato un tempo in cui in Ticino si organizzavano incontri tra le parti. Obiettivo: la convivenza. E tutto ciò grazie a un uomo.
La figura di Vittorio Dan Segre, diplomatico israeliano che ha trovato nel nostro cantone il luogo ideale per i suoi progetti.
LUGANO - Migliaia di israeliani in piazza per difendere la “democrazia” contro la riforma di giustizia promossa dal Governo. Missili lanciati dal sud del Libano verso Israele. Un palestinese è rimasto ucciso durante un’incursione dell'esercito israeliano nel campo profughi di Jenin. Il caos e la crisi politica e sociale in cui è sprofondato lo Stato ebraico hanno riacceso l’attenzione mediatica sulla Palestina e su un conflitto mai risolto. Un odio che ha penetrato la terra come un veleno e che sembra ormai impossibile da sradicare.
Israeliani e palestinesi si parlavano a Lugano - Eppure nel lungo conflitto arabo-israeliano ci sono stati momenti in cui le parti si sono avvicinate e l’apertura al dialogo ha illuso i più ottimisti. Dove? A Lugano, grazie alla figura di Vittorio Dan Segre, diplomatico, giornalista e accademico italo-israeliano, personalità cardine della fondazione dello Stato d’Israele, che ha promosso per anni nel nostro Cantone la cultura della convivenza tra israeliani e palestinesi.
«La Svizzera lo interessava molto, riteneva che la neutralità elvetica potesse essere un modello applicabile anche in Medio Oriente. Sognava di creare in Palestina una confederazione in cui le differenze politiche e religiose potessero convivere», ci ha spiegato Federica Frediani, ricercatrice e docente dell’Università della Svizzera italiana. Frediani ha collaborato con Segre per 15 anni.
La Svizzera un modello ideale - A Lugano Segre ha fondato nel 1997 l'Istituto di studi mediterranei all'Università della Svizzera italiana. La scelta di sviluppare il suo progetto in Svizzera non è stata dettata solo dal sistema politico della Confederazione. La Svizzera rappresentava un modello, ma offriva anche un luogo sicuro, protetto, una piattaforma ideale per il dialogo. «La neutralità della Svizzera ha consentito di organizzare, soprattutto nei primi anni dell'istituto, vari incontri tra israeliani e palestinesi a Lugano». Incontri poco pubblicizzati con l’obiettivo di riunire allo stesso tavolo personalità israeliane e palestinesi.
Secondo lui la Svizzera aveva trovato un modus operandi per istituzionalizzare i compromessi. «Nelle relazioni così complesse il compromesso è uno dei primi elementi che si devono accettare». Un visionario che credeva nella forza del dialogo. Riteneva essenziale l’incontro e lo scambio di opinioni senza l’obiettivo di imporsi e di difendere la propria posizione.
L'eredità di un visionario - Dopo più di 20 anni l’ideale di Segre si scontra con una realtà diametralmente opposta. «Lo scenario è cambiato radicalmente, dubito che si identificherebbe nella situazione attuale», ci ha confidato Frediani. Il governo Netanyahu bis ha riacceso infatti la violenza e spaccato in due il Paese. «Le possibilità di trovare un accordo sono scemate rispetto a quell’epoca. La soluzione di due Stati era più plausibile che ora». Il contesto mediorientale sta cambiando con molta velocità.
L'avventurosa vita di Segre si è spenta il 27 settembre 2014, i suoi ideali e i suoi principi continuano però a ispirare nuovi progetti. Tra questi il Middle East Summer Summit (MEM), che si svolge da cinque anni estati all’Università della Svizzera italiana. Un Summit che permette a «ragazzi provenienti da tutto il Medio Oriente di dialogare e di sentirsi a loro agio nell’esprimere la propria opinione in un luogo sicuro».
Promuovre la cultura della convivenza - Nel 2016, grazie alla dedizione del nipote di Vittorio, Gabriele Segre, è nata invece la “Vittorio Dan Segre Foundation”, la cui sede si trova a Lugano. «La fondazione ha una missione chiara: promuovere la cultura della convivenza tra identità diverse», ci ha spiegato il Dottor Segre. «Noi non pretendiamo di creare spazi di intervento sulla convivenza in maniera diretta». Un'incombenza che il Dottor Segre lascia ai diplomatici. «Quello che facciamo è manifestare il bisogno, e dunque anche la consapevolezza, della cultura della convivenza tra persone che non vorrebbero incontrarsi». Un lavoro profondo che mira e rispondere a una grande domanda applicabile a vari contesti, non solo quello israeliano-palestinese: «Come è possibile vivere gli uni con gli altri, dunque convivere, senza dover rinunciare a ciò che siamo?».
Parlare di convivenza oggi può sembrare utopico e poco realista. Per il Dottor Segre invece proprio le tensioni e la violenza attuali, rendono il lavoro della fondazione ancora più urgente ed essenziale. «Dal momento in cui la convivenza sembra fuori dall’interesse della politica, noi abbiamo il compito di creare spazi di promozione della cultura della convivenza». Un lavoro di preparazione per anticipare il momento in cui le «condizioni per aprire un dialogo si presenteranno e noi dovremmo avere gli strumenti culturali di comprensione che ci permettano di usare il tavolo del dialogo».
«Creiamo il desiderio di andare al tavolo» - «Non ci occupiamo di aiutare le persone a dialogare al tavolo dei negoziati, noi ci occupiamo di aiutare le persone a sviluppare gli strumenti che li portino al tavolo». Un lavoro preliminare. «Se si arriva al tavolo senza gli strumenti della cultura della convivenza, quel tavolo non servirà a nulla. Creiamo il desiderio di andare al tavolo».
La Svizzera, in quest’ottica, può e deve svolgere un ruolo nella promozione del dialogo. «Il vostro Paese deve però essere più attivo. La neutralità di per sé non è più praticabile, un ruolo proattivo è importante. Berna potrebbe svolgere un incarico che nessun altro potrebbe adempiere: quello di convocare le parti a sedersi in questo spazio sicuro». Un ruolo domandato alle Nazioni Unite, «che per una serie di ragioni non riescono più a intraprendere. Per far sì che questa convocazione venga colta serve l'autorevolezza che la Svizzera ha, in termini di tradizioni, competenza e serietà», ha concluso Segre.