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LUGANO«La vita del giornalista è sempre più importante di un reportage»

15.09.24 - 08:00
La testimonianza di Dimitry Muratov, direttore del giornale dissidente russo Novaya Gazeta, tra guerra, censura e propaganda.
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«La vita del giornalista è sempre più importante di un reportage»
La testimonianza di Dimitry Muratov, direttore del giornale dissidente russo Novaya Gazeta, tra guerra, censura e propaganda.
Muratov è stato accolto a Lugano sabato mattina nell’ambito del festival Endorfine.

LUGANO - Un respiro profondo. Gli occhi chiusi. Un minuto di pausa prima di rispondere. «È complicato». Già, non è facile neppure per Dimitry Muratov, giornalista russo premio Nobel per la pace nel 2021 e direttore del giornale dissidente Novaya Gazeta, cercare di spiegare il motivo per cui una parte della popolazione del suo paese preferisce rivolgere lo sguardo altrove. Perché insomma è comodo essere sordi. «Le persone hanno diritto di scegliere i propri valori. E in Russia la libertà di parola non è la priorità numero uno. Al primo posto della classifica dei valori si situa il benessere famigliare. Molte persone sono convinte che la conoscenza di scandali o intrighi possa nuocere alla propria comfort zone». Ed ecco che, per essere tutelati, subentra il patto con il diavolo. «La società ha scambiato la libertà con la sicurezza». 

Muratov è intervenuto ieri mattina, sabato 14 settembre, nell’ambito del festival Endorfine di Lugano. Tra i fondatori di Novaja Gazeta, ha diretto il giornale dal 1995 al 2017 e dal 2019 fino al 2022, quando il quotidiano ha dovuto interrompere le pubblicazioni a causa delle restrizioni sulla libertà di stampa imposte dal governo dopo l’invasione dell’Ucraina.

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Tra Mosca e Riga - Il lavoro di Novaya Gazeta però non si è interrotto. «Abbiamo deciso di sdoppiare il giornale», ci spiega. «Siamo un grande servizio d’informazione che può vantare molti lettori. Una parte della redazione è rimasta in Russia, dove l’unico modo per operare è seguire le regole della censura, mentre l’altra metà è andata in Europa». A Riga e a Berlino i giornalisti più giovani hanno trovato un rifugio. Ma il prezzo è stato alto. «Lavorano senza ostacoli, ma lontano dalla patria, lontano dal terreno. Mentre noi, che lavoriamo sotto censura, siamo vicini ai nostri lettori. E loro sono molto riconoscenti che abbiamo deciso di restare». 

Il sito web, all’interno della Russia, è consultabile con l’utilizzo di una rete privata virtuale (VPN). «Il destino della libertà di parola e dell’informazione non dipende tanto dai giornalisti ma dai tecnici. Gli informatici ci possono aiutare a impedire che Youtube oppure Wikipedia vengano bloccati sul territorio russo. Bisogna impedirlo e avere strumenti tecnici che permettano di avere informazioni veritiere. È in corso una lotta globale tra democrazie e dittature. Gli informativi sono coloro che devono prendere posizione. Non si può permettere alla propaganda di avere il monopolio dell'informazione».

La missione e i pericoli del giornalismo - Sei giornalisti del quotidiano sono stati uccisi (tra cui la reporter Anna Politkovskaja), altri sono scampati alla morte per miracolo (come Elena Kostyuchenko), alcuni si trovano in prigione e altri sono scappati all’estero. Non teme per la propria vita? «Questa domanda mi è stata posta molte volte. La verità è che non ho risposte a questa domanda. Dovete chiederlo a Putin, ma non a me».

Eppure l’immunità non esiste. Muratov è stato accusato dal regime russo di essere un agente straniero. L'etichetta “nemico dello Stato” non è priva di conseguenze. Ad aprile del 2022 Muratov è stato aggredito con vernice rossa e acetone mentre viaggiava su un treno diretto a Samara. Un attacco che gli ha provocato gravi ustioni agli occhi che lo hanno obbligato a farsi operare. Le autorità e i servizi segreti russi non hanno trovato i colpevoli: «Noi invece non ci abbiamo messo tanto», ammette con soddisfazione e un po’ di ironia. Ora inizierà il processo, eppure l’esito è già scontato. «Per le persone come me, che non sostengono l’operazione speciale in Ucraina, la legge non funziona».

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La linea rossa - Ma esiste una linea rossa nella missione del giornalista da non oltrepassare? «Mi capitava spesso di discutere e litigare, anche duramente, con Anna Politkovskaja». La reporter russa, dopo essere sopravvissuta a un avvelenamento, è stata uccisa a colpi di pistola il 7 ottobre del 2006 (il giorno del compleanno di Putin). «Non volevo lasciarla andare al fronte, avevo paura per lei. Le dissi che la sua vita valeva ben più di un reportage. Una volta non ci parlammo addirittura per due mesi. Per me la vita del giornalista è più importante dell’articolo che scrive. Qualcuno ha cercato di convincermi dell’opposto, ma non sono d'accordo». 

La guerra in Ucraina ha però stravolto ogni cosa. In tal senso, il messaggio di Muratov è chiaro. Allo stato attuale delle operazioni militari né l’esercito russo né quello ucraino possono prendere il sopravvento sull’altro. Parola d’ordine quindi: cessate il fuoco. «Bisogna arrivare il più in fretta possibile al cessate il fuoco». L’esempio è quanto accaduto tra le due Coree. «È necessario far tacere le armi e poi cercare una soluzione. Questo non significa che l’Ucraina debba rinunciare a parte dei suoi territori o alle sue ambizioni europee. Non significa neppure che non verranno aperte le indagini sui crimini di guerra. Ma tutto questo avverrà dopo. Ora bisogna impedire che ci siano altri morti».

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La propaganda russa e l'arma atomica - Tutto si gioca attorno a una questione: «Come fare in modo che Kiev non debba rinunciare alle regioni annesse alla Russia, senza però andare incontro a una guerra nucleare? Questa è la domanda e la sfida, non solo dei diplomatici e dei politici, ma per tutta la civiltà». Putin è tornato infatti ad agitare lo spettro della guerra nucleare. La propaganda del presidente russo è però sottile. «La televisione ogni giorno abbassa l’asticella per il ricorso alla bomba atomica. La propaganda del regime spiega ai russi (e non solo) che per prevenire una guerra nucleare è necessario usare le armi atomiche. È un ragionamento terribile che fa paura». 

E se la guerra a Gaza ha suscitato (e continua a suscitare) grandi proteste per la pace in Europa e nelle università americane, il conflitto in Ucraina sembra aver perso interesse. La ragione? «Ditemelo voi, io non ho una risposta. Non capisco perché non ci sia un movimento pacifista che manifesti contro le azioni militari russe in Ucraina. Sono stupito e amareggiato. Il destino di Kiev sembra essere stato consegnato nelle mani solo della politica».

«Vi prego di non stancarvi mai delle notizie dall’Ucraina. È la prima guerra in cui ogni singolo momento è immortalato da una telecamera. Iniziamo a provare nausea, ma la gente continua a morire. Dobbiamo impedire che la morte di una persona, di un bambino, cessi di essere una notizia». 

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Siamo davvero impotenti davanti alla violenza? - Cosa può fare ognuno di noi, nel nostro piccolo, per giungere alla fine della guerra? «Per esempio, durante la guerra in Vietnam, i movimenti pacifisti, non solo in America, hanno spinto Washington a porre fine alla guerra. In Russia non è possibile un movimento pacifista interno o alcuna espressione contro la guerra. Il rischio è finire in prigione. Eppure non c’è altra via d'uscita se non fare pressione sul governo e sulla politica». In quest’ottica ci sono altre istituzioni che possono svolgere un ruolo importante. «Il CICR, i Medici senza frontiere, l’Onu, i leader religiosi, tutti possono fare di più».

Ieri, grazie alla negoziazione degli Emirati Arabi Uniti, è stato possibile realizzare uno scambio di prigionieri. 103 prigionieri ucraini sono tornati a Kiev mentre altrettanti prigionieri russi sono giunti a Mosca. E questo è il tema che preoccupa di più Muratov. «Ci sono centinaia di prigionieri politici che vivono in condizioni disumane nelle carceri russe. Le fotografie al momento dell’arresto e dopo pochi mesi sono impressionanti. Non sono spie, non sono assassini, né militari e per il momento non sono ancora cadaveri. Bisogna chiedere che anche questi detenuti siano inclusi negli scambi». 

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