Due mamme adottive dopo la decisione del Consiglio federale: «Mi auguro un ribaltamento e canali adottivi più sicuri». «Scelta senza senso»
SAVOSA - Monica e Chiara sono accomunate da quello che definiscono un progetto di famiglia: l’adozione, una di una adolescente 15enne etiope, l’altra di tre fratellini haitiani di 13, 11 e 9 anni. Le loro storie sono molto diverse, Monica ha anche tre figli biologici, eppure entrambe hanno accolto con sgomento e con profondo dispiacere la volontà del Consiglio federale di non permettere più le adozioni internazionali, col rischio, dichiarato da vari esperti, di un proliferare di pratiche illegali.
«Abbiamo un gruppo WhatsApp con cui restiamo in contatto. Dopo la divulgazione della notizia, tra noi prevalgono lo sgomento e la tristezza. Siamo davvero allibiti», spiega Monica. E Chiara, alla domanda su che cosa ha pensato, molto schiettamente risponde che «mi sono quasi sentita in colpa, mi sono chiesta se anche nelle mie adozioni non ci potesse magari essere stato qualcosa che non andava. Poi subito mi sono domandata come fanno a prendere una decisione del genere, che non ha alcun senso».
«Interesse dei bambini? Per carità!» - «È una scelta illiberale, non nel senso politico, nel senso che mina la libertà di scelta», sostiene decisa Monica. Che contesta una scelta presa, a detta del Consiglio Federale, nell’interesse dei bambini. «Per carità! Chi ha deciso ha mai pensato ai ragazzi giovanissimi che, una volta usciti dagli orfanotrofi, non hanno alcuna chance? In Etiopia, penso soprattutto alle ragazze, ci sono la strada o una vita a servizio». L’adozione, sottolinea, «non è la panacea di tutti i mali, è una goccia nel mare. Però sono gocce belle, che cambiano la vita di chi è fortunato».
«Non fare di meno, ma fare di più» - Se abusi ci sono stati, aggiunge, fermare tutto è come «gettar via il bambino con l’acqua sporca. È possibile che in Svizzera, paese che tanti ci invidiano e in cui nemmeno il più povero sta lontanamente male come gli orfani in Etiopia non si riescano a creare dei canali più sicuri?».
La sua speranza è che la decisione venga ribaltata e che anzi «sia l’occasione per lanciare una discussione su come dar vita ad adozioni più sicure: non certo per negare a bambini, che hanno una prospettiva di miseria, di avere una famiglia ed essere amati. E, a chi ha un certo tipo di sogno di famiglia, di poterlo realizzare».
La collettività «deve dare delle regole e denunciare gli abusi. Questo non significa distruggere e fare di meno, bensì dovrebbe incoraggiare il Governo a fare di più, a dare una mano a quelle poche associazioni che si battono ogni giorno per adozioni sicure. Penso che farebbe onore al nostro Paese».
«Mio figlio sarà triste per chi non potrà essere adottato» - Tornando alla loro esperienza personale e a quella di famiglie che conoscono, hanno visto rigore e attenzione. «Non abbiamo mai dubitato della serietà dell’organizzazione che ci ha seguito in Svizzera e nemmeno della parte haitiana, che anzi ogni anno ci richiede un rapporto con foto sullo stato di salute dei bambini», è convinta Chiara, la quale confessa che un dettaglio che l’ha fatta riflettere è che i suoi bambini hanno, ad Haiti, una madre biologica.
«Mi domando se ora, sapendo che cosa è stato scelto, i miei figli, soprattutto il più grande di 13 anni, si chiederanno se davvero lei non l’ha potuto tenere con sé». Pur consapevoli della difficoltà del tema e delle possibili emozioni che potrebbe scatenare, lei e il marito hanno intenzione di affrontare l’argomento con i ragazzini. «Potrebbe sentirsi dispiaciuti per altri bambini di Haiti che non potranno forse essere adottati».
«Meno adozioni? Iter complessi» - Commentando i dati delle adozioni, in calo negli ultimi anni, Monica sottolinea la complessità dei rigorosi controlli che durano anni e che portano alcune famiglie a desistere. «Serve tenacia e a volte sembra una lotta contro le lunghe attese. Qualcuno cambia idea non per scarso interesse o mancato desiderio, a volte i progetti di famiglia e tempi cambiano».
Dei suoi conoscenti aspettano addirittura da cinque anni, gli abbinamenti felici, però, non mancano. «Vogliamo cancellare dei progetti di vita perché sono pochi e perché qualcuno ha commesso degli errori?», domanda.
Ovociti e adozioni, «ognuno sia libero di scegliere» - Le nostre due interlocutrici sottolineano la continuità culturale che una adozione porta, con un interesse che dura nel tempo per il paese da dove si porta a casa il proprio bambino. «Noi parliamo spesso di Haiti. L’augurio è di poterci andare tutti insieme», spiega Chiara. E Monica definisce l’adozione come «un percorso dove ci si informa, si incontrano persone, si parla, si vedono colori».
A suo dire, non è sempre e necessariamente legato a una non possibilità di diventare genitori biologicamente, «anche se in molti casi lo è. Ci sono famiglie, tra cui la mia, che scelgono una strada diversa, una via che va valutata e non spazzata via». A proposito di maternità biologica, a poche ore di distanza da quella relativa al blocco delle adozioni è giunta la notizia dell’allargamento della possibilità di ricevere una donazione di ovociti per coppie sposate e non.
I due fatti sono legati? «Mi auguro proprio di no», risponde Monica, che non ritiene corretto «che mentre da una parte si apre, dall’altra si chiude. Perché? Sono vie molto diverse. Una non è il sostituto dell’altra». Specifica l’importanza della possibilità per ciascuno «di decidere, nella legalità, ciò che è più in linea con la propria sensibilità, in che direzione portare la propria vita, il bene più prezioso che abbiamo».
A Berna per farsi ascoltare - L’adozione di Monica è avvenuta con l’aiuto di Mani per l’Infanzia, un’associazione cui è ancora vicina. C’è l’intenzione, anche con altre famiglie, di farsi sentire? Sì, perché in primis bisogna far sapere che è un progetto che dovrà andare in consultazione, non una decisione definitiva. Mi auguro un ribaltamento. Ci sono contatti in corso. Di primo acchito si ipotizzava di andare a Berna per farsi ascoltare. Si opterà per la strategia migliore».