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Un chip made in Ticino, per tornare a camminare

È già pronto per la sperimentazione il progetto di Manava Plus, startup che promette una rivoluzione in campo medico
Un chip made in Ticino, per tornare a camminare
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Un chip made in Ticino, per tornare a camminare
È già pronto per la sperimentazione il progetto di Manava Plus, startup che promette una rivoluzione in campo medico

LUGANO - L’idea ha del futuristico: un “mini-cervello” in grado di riparare i circuiti interrotti del sistema nervoso e restituire a pazienti paraplegici le capacità di movimento e sensibilità degli arti. 

Tutto ciò vuole essere concretizzato in tempi relativamente brevi da Manava Plus, startup svizzero-italiana con sede a Lugano fondata da Domenico Stigliani, imprenditore e bioingegnere.

Assieme al suo team, Stigliani ha già ottenuto 7,25 milioni di franchi in fondi pubblici e sta collaborando al progetto con l’Istituto di Ricerca in Biomedicina di Bellinzona, l’Ente Ospedaliero Cantonale, la SUPSI, l’Università di Milano e il Politecnico di Milano.

La tecnologia di Manava Plus si pone come obiettivo ambizioso quello di diventare la prima soluzione risolutiva per tutte quelle persone colpite da lesioni cerebrali, come ci spiega lo stesso Stigliani. Fantascienza? Sembrerebbe proprio di no.
«Sgombriamo subito il campo della fantascienza. Ovviamente i progetti ambiziosi, specie in campo medico, hanno sempre quest'aura. In realtà già esistono, soprattutto in Europa, centri di ricerca e aziende che stanno lavorando sulla riabilitazione completa dei pazienti paraplegici. Quindi di quelli che finiscono in sedia a rotelle e non possono più tornare a camminare. In particolare ci sono già concorrenti come "Neuralink" di Elon Musk e "Onward Medical", azienda svizzera, che stanno sviluppando tecnologie diverse dalla nostra e che puntano su neuromodulazione cerebrale e stimolazione spinale per la riabilitazione di alcuni pazienti». 

Quando si pensa ad ausili per tornare a camminare si immagina qualcosa di esterno al corpo, come un esoscheletro. Voi lavorate a qualcosa di integrato, un mix tra organico e tecnologico.
«È una protesi neurale impiantata nel sistema nervoso. La parte di sistema nervoso che è stato interrotto la andiamo a ricostruire con questo impianto, in parte biologico, con all'interno un chip che sfrutta l'intelligenza artificiale». 

A quando la sperimentazione?
«Inizieremo i primi esperimenti preclinici entro giugno. Abbiamo chiesto l'autorizzazione al comitato etico dell'Istituto di Ricerca in Biomedicina di Bellinzona, una volta ottenuta potremo partire con gli impianti su modelli animali. I primi risultati dovrebbero arrivare già entro quest'anno. Entro tre/cinque anni si dovrebbe arrivare all'impianto completo su uomo».

Il paziente dovrebbe tornare a una vita normale senza che dall'esterno si percepisca il vostro intervento.
«Quello è l'obiettivo: farlo tornare a camminare e soprattutto a percepire gli arti dei quali aveva perso sensibilità, a sua volta fondamentale nella motilità».

Questo tipo di tecnologia, in potenza, ha molteplici campi d'applicazione. Lasciando andare la fantasia penso a un upgrade delle funzioni umane. 
«Diciamo che l'applicazione immediata sarà sui pazienti paraplegici, ma potrà essere utile anche a chi è stato colpito da ictus o da altre problematiche relative alle funzioni cerebrali. Noi partiamo dallo scenario più “semplice” da trattare. Ciò non toglie che in futuro la tecnologia possa essere utile per un aumento cognitivo».

Impareremo una nuova lingua o a giocare a scacchi senza averlo fatto prima?
«La letteratura e gli sforzi della comunità scientifica esplorano tutti gli scenari di miglioramento della condizione umana».

Ultimamente si parla tanto di questa intelligenza artificiale, ma applicata a campi che hanno poco di serio. Qui si vede finalmente il contributo che è in grado di offrire.
«Sia l'intelligenza biologica, sia quella artificiale, si basano su reti neurali. Nel nostro caso l'IA non è che una copia dell'intelligenza “naturale” trasferita nei computer. Il chip interno alla protesi neurale riproduce dei meccanismi biologici, il termine tecnico è biomimica. Noi studiamo questi meccanismi in vitro - il famoso organoide - e li riproduciamo nel chip facendo in modo che sia il più simile possibile nell'interazione con l'ambiente a quello che farebbe il cervello stesso».

Cosa alimenta questi chip?
«Sono wireless, c'è una microbatteria ricaricabile». 

Come i cellulari? Quindi per ricaricarli dovremo appoggiare la testa su un cuscino-caricatore?
«Esatto, proprio così». 

È incredibile...
«Se negli anni '80 avessi parlato di un piccolo oggetto portatile con il quale puoi telefonare, vedere video, fare ricerche, calcoli e sentire musica, ti avrebbero preso per matto».

L'uomo cyborg, fuso con la macchina non è poi così lontano.
«Noi siamo focalizzati sull'aspetto medicale di questa tecnologia. La nostra filosofia è che prima debbano essere aiutati i più deboli».

Ovviamente gli investitori sono fondamentali nella ricerca.
«Sì, siamo in una fase di raccolta fondi. In questa prima fase stiamo raccogliendo 500mila franchi, quelli che ci porteranno ai primi risultati tangibili. Poi procederemo con gli step successivi. Essendo una start-up, chi investe avrà un ritorno, ovviamente, potenzialmente enorme».

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