Due statue esposte al Metropolitan Museum sono al centro del processo oggi in corso alle Assise correzionali di Lugano.
LUGANO - «Le opere erano mie e appartenevano alla mia famiglia da due generazioni». È quanto sostiene uno dei due imputati oggi a processo alle Assise correzionali di Lugano, un 51enne del Mendrisiotto residente a Dubai, riguardo alle due statue oggi esposte al Metropolitan Museum di New York che, a suo dire, avrebbero origini 100% ticinesi.
Entrambi gli imputati, il 51enne ticinese e un 80enne italiano a lungo vissuto nel Luganese, sono però accusati di truffa, subordinatamente di appropriazione indebita. Stando a quanto emerso dalle indagini del Ministero pubblico, infatti, i due avrebbero ingannato uno spagnolo impossessandosi delle suddette statue, che sarebbero state di sua proprietà, per un importo complessivo che sfiora gli 1,4 milioni di franchi.
Ben diversa, invece, la versione dei due accusati, secondo i quali i bronzi non sarebbero mai appartenuti allo spagnolo, ma sarebbero stati ricevuti dal ticinese in eredità dal defunto nonno, un macellaio del Mendrisiotto, che a sua volta li avrebbe avuti in dono dal noto collezionista ticinese, anch'esso deceduto, Giovanni Züst. La sentenza è attesa per le 15.30 odierne.
Intrecci e misteri - «L'accordo stretto tra lo spagnolo e l'italiano era che le opere affidate all'oggi 80enne sarebbero state restaurate e vendute, e che lo spagnolo avrebbe ricevuto il 50% del prezzo di compravendita», contestualizza il procuratore pubblico Daniele Galliano. Il racconto degli imputati, però, non regge: «È poco credibile, in primis, che in tanti anni nessuno della famiglia del ticinese si fosse reso conto del valore intrinseco delle statue, pari a milioni». Non convince, poi, «il fatto che il ticinese non abbia potuto dare alcuna prova, dichiarazioni di alcuni testimoni a parte, del fatto che le statue per tutti quegli anni si trovassero a casa sua». Stride, infine, «che il 51enne abbia consegnato all'italiano delle statue del valore di milioni in un parcheggio di un centro commerciale e senza alcuna ricevuta».
Particolarmente sospette sono inoltre le mail scambiate tra il ticinese e il figlio dell'80enne otto mesi prima della vendita delle opere alla casa d'aste Christie's. «Züst ha vissuto a Rancate [...] ed era contemporaneo dei tuoi nonni [...]. Magari si può costruire qualcosa su questa base», ha scritto infatti il figlio dell'italiano, nell’aprile 2012, al ticinese. «Mio nonno aveva la macelleria di fronte a casa sua. [...] Ma anche se fosse che si conoscevano eccetera, come si può provare..cosa di può dire?..come se io dicessi che conosco Obama..», ha risposto il ticinese. «A volte basta farlo dire a qualcun altro..devo studiarci su..ti farò sapere!», ha replicato infine il figlio dell'italiano.
«Non ci sono prove» - Ci sono però delle importanti incongruenze anche nella versione dello spagnolo, tiene a evidenziare Galliano. «Quest'ultimo ha inizialmente sostenuto di aver affidato le opere a entrambi gli imputati, per poi affermare in seguito di averle consegnate solo all'italiano. Non ci sono prove, inoltre, che prima del 2007 le statue fossero a casa dello spagnolo». Oggi, continua, «è quindi estremamente difficile ricostruire la provenienza delle opere d'arte. La possibilità più credibile è che siano state prelevate da uno scavo di epoca romana situato vicino al comune di residenza dello spagnolo, in Andalusia». Per la Pubblica accusa, inoltre, «se si suppone che fin dall'inizio gli imputati avevano intenzione di ingannare lo spagnolo, il reato di truffa è prescritto, perché la statua è stata ceduta nel 2007». Il reato di appropriazione indebita ipotizzato in alternativa «non può invece configurarsi se esiste un contratto di compravendita».
Il procuratore pubblico ha dunque giudicato scarsamente credibili sia le versioni degli imputati che quelle dell'accusatore privato e ha chiesto «una pena che non superi i due anni di detenzione per il ticinese e che non superi l'anno e mezzo per l'italiano».
«Gli imputati? Scaltri ed egoisti» - La vede diversamente, invece, il rappresentante dello spagnolo. «L'inchiesta ha permesso di evidenziare sia l'egoismo che la scaltrezza degli imputati, che le hanno pensate a dir poco tutte per defraudare l'accusatore privato», esordisce l'avvocato Samuele Scarpelli. «Che lo spagnolo sia il reale proprietario delle opere è comprovato da più elementi, tra cui le fotografie che l'uomo ha scattato presso la sua abitazione in Spagna. Gli imputati, al contrario, non sono stati in grado di produrre alcunché per provare che queste opere appartenessero alla famiglia del ticinese». Le dichiarazioni del 51enne, secondo Scarpelli, «sono inoltre costellate da diverse contraddizioni ed è evidente che si è studiato a tavolino una versione dei fatti».
Si parla poi del famigerato scambio di mail. «È evidente che stessero cercando di trovare una versione che potesse essere ritenuta credibile dinanzi alla casa d'aste Christie's». Per quanto riguarda invece le dichiarazioni rilasciate da alcuni anziani del Mendrisiotto «è chiaro che sono state create ad arte e retrodatate. Appare inoltre evidente che sono state create dalla stessa persona, perché la formulazione è praticamente identica».
«La versione dell'accusatore privato, al contrario di quella degli imputati, è credibile e attendibile», conclude Scarpelli, secondo il quale va confermato il reato di appropriazione indebita. Per quanto concerne invece il reato di truffa «non vi è un problema di prescrizione»: «è durante lo scambio di mail del 2012 che i due imputati si accordano e mettono insieme il castello di carta volto a truffare lo spagnolo». L'avvocato chiede dunque il risarcimento dell'importo di vendita delle opere, che sfiora gli 1,4 milioni di franchi, più la copertura delle spese legali dello spagnolo.
«La proprietà è sempre stata del ticinese» - La parola passa poi alla difesa, che chiede il proscioglimento di entrambi gli imputati, il risarcimento delle spese legali e un'indennità per torto morale. «Il procuratore pubblico aveva già presentato un decreto di abbandono rispetto a questo procedimento», sottolinea l'avvocato Edy Grignola. «Non vi è prova, inoltre, che le dichiarazioni di varie persone, secondo le quali le opere appartenevano alla famiglia del ticinese, non siano originali. Non vi è alcun dubbio sulla veridicità delle autentiche dei notai e mi viene difficile ipotizzare un complotto orchestrato da vari testimoni, due notai e una traduttrice volto a fabbricare delle dichiarazioni». Nello scambio di mail tra il ticinese e il figlio dell'italiano «non si parla poi di inventarsi qualcosa», sostiene Grignola, «ma di produrre ulteriori documenti per comprovare la provenienza delle opere». Christie's «aveva infatti richiesto informazioni aggiuntive sulla provenienza delle statue», afferma il 51enne del Mendrisiotto.
«Possiamo davvero stabilire la proprietà dei bronzi sulla base di alcune foto che non sappiamo nemmeno quando siano state scattate e dove?», chiede infine l'avvocato Grignola alla corte. «I bronzi sono sempre stati di proprietà della famiglia del ticinese, e nulla fa pensare che siano appartenuti allo spagnolo», conclude.