Ordinati due anni e mezzo di detenzione, di cui sei mesi da scontare, per l'imputato principale. La difesa ha però già annunciato l'appello.
LUGANO - Un condannato. E due assolti. A oltre quattro anni di distanza dai fatti e a sette mesi dalla prima parte del processo, arriva la sentenza e cala il sipario, almeno per ora, sul caso del presunto abuso di gruppo avvenuto a margine di una festa calcistica tenutasi nel Luganese.
Per l'imputato principale, giudicato colpevole di violenza carnale, è stata comminata una pena di due anni e mezzo di detenzione, di cui sei mesi da scontare e due anni sospesi con la condizionale. L'avvocato del 31enne, Niccolò Giovanettina, ha però già annunciato che farà appello.
La pubblica accusa, lo ricordiamo, aveva chiesto tre anni di detenzione, di cui un anno e sei mesi da scontare, per l'imputato principale, due anni e quattro mesi, di cui sei mesi da espiare, per il 27enne e un anno e otto mesi sospesi per il 25enne. La difesa aveva invece spinto per il proscioglimento di tutti e tre gli imputati.
Nella prima fase «non vi è prova di abuso» - «Il perito ha stabilito che la giovane non era ubriaca al punto da poter essere considerata incapace di discernimento o inetta a resistere», ha spiegato innanzitutto il giudice Siro Quadri, motivando l'assoluzione del 25enne e del 27enne e il proscioglimento dell'imputato principale da questa ipotesi di reato. «Quella sera», ha poi precisato, «il 25enne non ha consumato atti sessuali. Era forse in attesa, e non è certo che avesse la funzione di palo. Per questo per la Corte non può essere condannato». Anche il 27enne «era presente solo nella prima fase dell'atto (quella che precedeva i "no" e i "basta" della ragazza ndr.) e non vi è la prova che la vittima fosse inetta a resistere e che vi sia stato un abuso. Per questo non può essere condannato».
Dopo i "no" - Il 31enne, ha però aggiunto il giudice, era invece presente anche nella seconda fase degli avvenimenti. E la sua versione dei fatti non ha convinto la Corte. «Sapeva che la vittima non voleva più qualcosa con lui, la ragazza l'aveva detto espressamente, eppure ha insistito e ha messo la vittima, già brilla e turbata, in una posizione in cui non poteva più muoversi. L'atto è dunque stato commesso con una particolare dose di egoismo». Quadri ha poi sottolineato che «il reato di violenza carnale non presuppone che la vittima sia inetta a resistere o che l'autore la maltratti fisicamente. È sufficiente che si trovi in una posizione in cui non ha una via d'uscita».
La vittima è inoltre stata giudicata credibile, ha evidenziato il giudice: «Ha sempre fornito una versione lineare e coerente». E, secondo il perito psichiatrico «"dai messaggi da lei inviati non traspare il desiderio di denunciare falsamente qualcuno, ma piuttosto "emerge un'autocolpevolizzazione tipica delle vittime di violenza sessuale"».
«In aula si parla della causa» - Quadri ha infine duramente contestato l'atteggiamento assunto dalla difesa durante il dibattimento di mercoledì, in particolare le molte critiche rivolte al lavoro svolto dal procuratore pubblico Zaccaria Akbas nel corso dell'inchiesta e verso il rinvio della sentenza deciso dalla Corte sette mesi fa per svolgere ulteriori verifiche, tra cui una perizia psichiatrica. «La difesa ha parlato di "sgomento" e "sconcerto" rispetto a una "cattiva conduzione dell'inchiesta", di "una stanchezza per una lunga istruttoria", "un cattivo esempio di giustizia" e un "procedimento deragliato". Per la Corte tutte queste polemiche non solo sono inutili ma sono anche state effettuate nella sede sbagliata. Se si ritiene che il sistema giudiziario non funziona ci si deve rivolgere alla corte di ricorso, in aula si parla della causa e non c'è spazio per altro».
«La ricerca della verità prima di tutto» - Mercoledì, ha continuato il giudice, «non è inoltre stato rilevato che il codice di procedura penale svizzero dà molta importanza a quello che è un principio basilare: la ricerca della verità, una finalità, questa, essenziale per la giustizia. Mal si comprende, dunque, per quale motivo non vengano apprezzati gli sforzi da noi intrapresi per capire cosa veramente sia successo la notte dei fatti e se siano stati o meno commessi dei reati». Questi atti, conclude, «non devono essere banalizzati. Siamo convinti che la vittima meritava un'istruttoria approfondita e per questo abbiamo voluto analizzare tutte le prove che potevano essere raccolte».