Incoraggiare i piccoli a sorridere valorizza i loro sentimenti e sviluppa l’autostima
Nel sonno come nella vita di relazione, per esprimere godimento e gioia: i sorrisi dei neonati si confermano strumento di comunicazione importante e tanto amato dagli adulti. Prima di sciogliersi al cospetto di ogni boccuccia sdentata che si stira in un sorriso contagioso, però, bisogna ricordare che inizialmente si tratta solo di riflessi e, solo in seguito, diventano reali manifestazioni del loro sentire. Il primo sorriso di un bebè, fatto ad occhi aperti con lo sguardo fisso negli occhi degli adulti ed accompagnato da un gridolino gioioso, è l’espressione più reale che dice molto anche sullo sviluppo del piccolo che ha migliorato la sua visione ed è ormai in grado di riconoscere chi gli è intorno. I neonati generalmente sorridono per manifestare divertimento e piacere durante attività come il gioco: si pensi alle coccole o al solletico fatto dalla mamma che provoca sorrisetti e gridolini felici del piccolo.
Superati i sorrisi riflessi che durano poco e si manifestano quando il piccolo dorme o è stanco, i sorrisi reali sono una vera risposta a quello che al piccolo piace, il volto della mamma o la voce del papà, per esempio, e si accompagnano alla gioia che appare nei suoi occhi. Già tra le 6 e le 8 settimane di vita si palesano i sorrisi di divertimento, seguiti da quelli adottati come forma di comunicazione. Intorno alle 12 settimane i sorrisi cominciano a diventare a bocca aperta e chiusa ad esprimere più o meno contentezza, mentre verso le 14 settimane diventano l’espressione più quotata per esprimere il gradimento dell’adulto che si relaziona con lui. Se i primi sorrisi tardano ad arrivare ed il neonato sembra non sorridere mai, non vuol dire necessariamente che ci sia qualche problema. Sino ai tre mesi può essere normale, ma dopo questa età è meglio parlarne con il pediatra.
TMT (ti.mamme team)