Maurizio Canetta ci spiega come la pandemia abbia ridefinito il ruolo dei media e della comunicazione di qualità
Per la rubrica l’Opinionista abbiamo intervistato il Direttore della RSI, Maurizio Canetta.
Ne è scaturita una chiacchierata molto ampia, che potete ascoltare e vedere per intero a questo link. Con il suo aiuto abbiamo affrontato temi molto vari, sull’importanza della tecnologia, sulle lezioni che abbiamo appreso in questi mesi e su come giornalisti e risorse del servizio pubblico televisivo si siano adattati a lavorare da casa, riconfigurando palinsesti e informazione per stare vicino al territorio.
L’emergenza dettata dal Coronavirus ha riportato i media tradizionali al centro dell’informazione. Come vivete in RSI questa stagione così complessa da raccontare?
«Tutto quel che sta succedendo ipoteca pesantemente i programmi e il modo di farli. E se i contenuti si sono molto polarizzati sul Coronavirus, va anche osservato che questa crisi che stiamo raccontando ci coinvolge tutti, perché l’abbiamo dentro di noi.
Giornalisti e operatori hanno sempre raccontato eventi anche drammatici, come l’11 Settembre o l’incendio del San Gottardo, ma erano crisi esterne, lontane da noi. Oggi abbiamo un coinvolgimento emotivo pesantissimo, perché ogni nostra famiglia è toccata dagli eventi. Oggi dobbiamo garantire in primis la salute e la lucidità mentale delle persone, che lavorano in RSI, ma a questo si aggiunge la responsabilità di informazione del servizio pubblico. Siamo un anello di congiunzione con la popolazione e le autorità e, chiaramente, abbiamo dovuto adattarci alle circostanze; per esempio, lavorando da casa e confezionando i nostri servizi da remoto. Come è evidente non possiamo più avere molti ospiti in trasmissione tv o radio, ma abbiamo dimostrato che al tempo del Coronavirus un’intervista o una tavola rotonda può avvenire condividendo uno schermo di un portatile o di un cellulare».
La tecnologia in che modo vi ha aiutato a garantire informazione e aggiornamento al pubblico? Ci diceva che avete dovuto rivoluzionare i contenitori di informazione e le modalità con cui conducete le interviste. È stato un semplice clic o per adattarsi c’è voluto tempo?
«Abbiamo avuto un colpo di fortuna, non voluto, perché otto mesi fa abbiamo cambiato tutto il sistema tecnologico, che ci permette sia di lavorare da casa sia presso le nostre redazioni. Quindi, quando da un giorno all’altro abbiamo potuto decidere di passare al telelavoro obbligatorio per chi non doveva andare in onda in studio o essere in regia, abbiamo semplicemente chiesto alle nostre persone di portarsi a casa il computer portatile! Parliamo di oltre 6.000 persone e il 60% di loro ha da subito lavorato da remoto. Questo ci ha permesso di fare un passaggio abbastanza indolore. È servito che i nostri professionisti IT formassero i giornalisti in modo rapido, ma è stato un elemento molto positivo perché le competenze individuali si sono affinate e aggiornate. Delle 900 persone che si muovono tra Besso e Comano, abbiamo impiegato circa il 20% di persone presenti nei due siti, con tecnici e giornalisti attivi in telelavoro, ma capaci di garantire comunque la corretta informazione. I giornalisti di radio e tv scrivono e montano da casa i servizi e questo elemento è stato fondamentale, anche in un’ottica di nuove opportunità che si aprono. Ci sono degli elementi positivi che anche in questa vicenda ci porteremo dentro anche per il futuro».
Lei si trova a condurre una trasmissione in cui dà voce al pubblico. “Con voi. Racconti della resilienza”. Cosa ne sta traendo dal punto di vista professionale e personale? In qualche modo sta anche cogliendo come i ticinesi stanno vivendo questa nuova situazione di forzata immobilità e distanziamento sociale. Che tipo di sensazioni ha dei nostri concittadini?
«È un ritorno nell’arena dopo tanti anni da direttore, per cui vivo certamente il momento adrenalinico della diretta essendo in video. Si sperimentano nuove modalità per andare in onda, con collegamenti via skype e non con presenza fisica in studio dell’ospite. Si riaccoglie al telefono gente che non sai cosa ti dirà, perché siamo in diretta, ma è anche un nuovo ascolto dei racconti delle persone, che abbiamo deciso di mettere al centro.
C’è poi il tema della resilienza, come le persone riescono a non spezzarsi e a sostenere l’urto degli eventi. E poi essere da solo in studio e maneggiare tutto, dalle chiamate ai collegamenti, senza pause e con poche clip è per me una sfida molto interessante. Ci sono contatti diretti che ti danno la dimensione di come l’umanità sta vivendo questo dramma, sono bagni che fanno uscire un po’ dalla bolla in cui viviamo.
L’RSI è stata molto resiliente in questo periodo, perché avete rimesso in gioco tutto e vi siete avvicinati al vostro pubblico con grande empatia. Traspare la voglia di farcela insieme e forse è un momento in cui state raccogliendo i frutti di una forza che state dimostrando…
È la vittoria del servizio pubblico e abbiamo provato a meritarcela. Abbiamo tirato fuori il nostro meglio e di fronte a una crisi così enorme le piccolezze non contano più. Ora dobbiamo proseguire su questo tratto, per mantenere la vicinanza al territorio e questa tensione deve rimanere la norma. In effetti, nella crisi si creano opportunità di solidarietà e di nuove relazioni che avevamo perso nel tempo. Viene fuori il bene, ma anche il male, come le truffe nella vendita di mascherine, che per esempio sono state scoperte online. Ci sono poi elementi che riguardano la tecnologia e che ci chiamano a grandi questioni; ad esempio, penso all’applicazione di tracciamento di cui si discute molto. Ma cosa vuol dire in prospettiva? Oggi l’accettiamo per l’emergenza sanitaria, ma si aprono questioni enormi di privacy e di tutela dei nostri diritti. Dobbiamo trarre lezioni da questa vicenda, perchè in passato dopo pesti e calamità non siamo stati troppo bravi a capirne il vero significato. Forse oggi che siamo tutti così coinvolti nella pandemia dobbiamo cercare di far emergere come siamo riusciti ad attraversarla, acquisendo competenze tecnologiche che mai avremmo immaginato.
Giocheremo un ruolo centrale come promotori di una società digitale e tecnologica, se nell’informazione e nella comunicazione sapremo far sì che l’elemento di empatia e resilienza domini sull’efficacia assoluta. Serve mettere insieme l’umanesimo e la scientificità tecnologica, in una sintesi unica ma difficilissima. Sarà la vera sfida che ci attende!»
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